Memorialistica meridionale del Risorgimento: nuove acquisizioni (seconda parte)

Dopo una dedica alla madre, presente soltanto nel volume in inglese, nella quale l’autore dichiara di avere sofferto per la causa sacra della libertà, nella Prefazione emerge il motivo della denuncia del regime borbonico che accomuna un po’ tutti questi scritti, come s’è detto. Nicolò scrive così a un certo punto nella parte tradotta in italiano:

Possa ogni anima sensibile che legge queste pagine conferire un pensiero alle sfortune a cui tuttora soggiacciono milioni di popoli; possa un fremito di sdegno agitare le loro fibre contro il mostro che tuttora fa sanguinare innumerevoli vittime; possa infine la parola di un libero libro maledire per sempre la tirannia ed alzare sublime la voce in sollievo di sette milioni e mezzo di popoli anzi di schiavi, schiavi di un sistema che il terrore ed il sospetto guida[3].

Nell’Introduzione si accenna alla causa della rivolta, cioè la revoca della costituzione da parte di re Ferdinando II e allo scoppio dei moti antiborbonici a Reggio Calabria, mentre nelle pagine successive si descrive la partecipazione di Nicolò alla sommossa di Piani della Corona, una località vicino a Reggio. Dopo il fallimento della rivolta, il patriota si dà alla latitanza nascondendosi prima in casa e poi in luoghi di fortuna. Viene arrestato nel luglio del 1850 e rinchiuso nel carcere della città calabrese. Accusato di cospirazione, è condannato a morte ma la pena viene commutata in diciannove anni di carcere duro poi ridotta a tredici. Incomincia a scontare la pena nel carcere di Gerace, poi viene condotto a Nisida, dove è incatenato insieme a un altro detenuto accusato di omicidio. A questo punto Nicolò descrive accuratamente l’universo carcerario nella sua globalità, come fa Castromediano nelle sue Memorie: le pessime condizioni igienico-sanitarie, la struttura del carcere, i regolamenti, il personale addetto.

Nel carcere viene in contatto anche con i camorristi dai quali ottiene protezione. Ecco un breve brano  relativo al primo incontro con loro:

Upon receiving their respectful salutations and offers of service, I replied courteously, but with indifference.

«Thank you, my friends; but if you wished, I suppose you could not do anything for me».

«More than you may think, perhaps», said one of them, giving himself an important air. «A Camorrista is the god of the Bagno, and, thank heaven, your humble servants are three chief Camorristi».

O did not know wath this meant, but my companion took off his cap as a sign of respect[4].

Dopo un mese di permanenza viene condotto nell’ottobre di quell’anno nel carcere di Procida di cui l’autore dà un’impressionante descrizione nel seguente brano:

Upon entering the prison, I was placed in a subterranean cell, called the darkened room, on account of the celebrated but dim light which illumined it. It was very spacious, and situated twenty yards below the level of the soil. A sepulchral light was reflected from two iron gratings opening into a narrow trench recently made. The pavement was of square stones almost hidden under a coating of humid filth. The slimy walls emitted a horrid stench. Fetid green water dripped from the centre of the ceiling. Although it contained several persons, it was scarcely possible to distinguish their forms. A column of smoke, after travelling to the top of the place, found an exit through the bars. It was a tomb, – the tomb of expiation: a place well calculated to inspire horror, and to make me still more bitterly regret the change. My blood froze in  my veins as I entered. The room at Nisida seemed a perfect paradise in comparison[5].

E tutta la parte centrale del libro è dedicata ai sette anni trascorsi in questa prigione-tomba. Ritornano quindi altre costanti della narrazione memorialistica meridionale: dalla descrizione della cella alla catena che legava i detenuti a due a due, dalla corruzione delle guardie alla presenza anche qui dei camorristi, alle angherie dei comandanti che si succedono.

Una novità è data dalla presenza nel carcere dei Gesuiti che apparentemente sono chiamati per assistenza spirituale dei detenuti ma che in realtà assumono il ruolo di spie. Il 15 gennaio 1859 viene comunicato ai detenuti la commutazione del resto della pena in esilio perpetuo dal Regno in America. E anche nel libro di Nicolò la parte finale è dedicata all’episodio più avventuroso di tutta la vicenda che ho ricordato poco fa: il dirottamento della nave che doveva condurre i sessantasei patrioti italiani negli Stati Uniti. E quindi l’arrivo a Cadice, la presenza sulla nave di Raffaele Settembrini che si fa assumere come cameriere dal comandante Prentiss. A questo proposito ecco come l’autore del libro descrive l’arrivo del giovane, con accenti che anche stavolta richiamano la Memorie di Castromediano: «A handsome young man of twenty, dressed in a sailor’s uniform, with a gold band round his cap, nimble as a fawn, but with, an air of dignity and composure, rapidly scaled the corvette ladder and sprang on board our vessel»[6]. [«Un bellissimo ragazzo di vent’anni, vestito in uniforme di marina, con un nastro dorato intorno al cappello, agile come un cerbiatto ma estremamente composto, scalò rapidamente la scaletta e salì a bordo della nostra nave»]. La  nave viene dirottata a Queenstown in Irlanda e qui emerge un sentimento di libertà da parte dei detenuti, dopo tanti anni di sofferenze e di privazione proprio di questo bene fondamentale. Ecco il brano nella versione in italiano:

Sentivamo di poter movere quel piede che per dieci anni era stato incatenato; sentivamo di poter guardare intorno senza un agozzino che ci stornasse il volto, sentivamo di poter aprire la bocca senza un comito che ci risospingesse in gola la parola; sentivamo di essere liberi ed un tal sentimento può soltanto valutarlo chi per un istante ha perduto la libertà[7].

Carlo Poerio

La narrazione termina con l’arrivo a Bristol in Inghilterra e l’accoglienza festosa da parte degli inglesi. Sono più di duemila persone che aspettano i patrioti italiani sul molo con grida di hurrah e con una banda musicale e che cercano di stringere loro la mano agli sportelli delle carrozze dove erano stati fatti entrare per essere accompagnati nelle  residenze a loro destinate.

Per finire, vorrei accennare ancora a un’altra opera che non appartiene al genere della memorialistica, ma che tratta ugualmente questa vicenda e, in particolare, proprio quest’ultimo episodio, sul quale anzi è integralmente incentrata, cioè l’avventuroso dirottamento della nave, che evidentemente destò molta impressione nell’opinione pubblica, non solo italiana. Si tratta di un «dramma storico in un prologo e tre atti», dal titolo I deportati napoletani, di Antonio Guerritore, pubblicato a Napoli nel 1900, ma scritto  e pubblicato in inglese già nel 1859[8]. Anche in questo caso colpiscono l’anno in cui fu scritto, che coincide con gli avvenimenti oggetto del dramma, e la lingua, l’inglese, segno della notorietà della vicenda anche fuori dei confini nazionali.

Luigi_Settembrini

I personaggi principali, all’inizio, sono le due figure più illustri di tutta questa storia, Carlo Poerio e Luigi Settembrini i quali si incontrano nel carcere di Montesarchio e apprendono che il re aveva concesso l’amnistia in cambio dell’esilio perpetuo in America. Poi, quando l’azione si sposta a Cadice, il protagonista diventa Raffaele Settembrini, figlio di Luigi, che si imbarca come cameriere, come s’è detto, sulla nave David Stewart comandata da Samuel Prentiss. Ecco la scena XI dell’Atto primo, relativa all’incontro tra il giovane e il padre, presenti insieme al capitano del piroscafo Stromboli, Cafieri:

Raff. – (Gettandosi fra le braccia del padre). Finalmente vi riveggo!

Sett. – (Lo bacia teneramente). Raffaele mio! Figlio caro… Sembrami un sogno… Dio misericordioso!

Caf. – (Fa portare due sediolini, e poi dice). Sedete e parlate liberamente, fate com’io fossi sordo.

Sett. – Dimmi, figlio caro, (Siede insieme a Raffaele) riceveste la lettera che annunziavati la mia partenza?

Raff. – Da chi direttami?

Sett. ‒ Da tua madre.

Raff. – E dove la diresse?

Sett. – A Genova.

Raff. – Impossibile riceverla, perché io non vengo da Genova, ma da Londra.

Sett. ‒ E dove sei diretto?

Raff.– Alle isole Canarie.

Sett. – Ed allora non essendo stato a Genova, come sapeste che mi trovavo a Cadice?

Raff.– Dai giornali di Lisbona.

Sett. – Meglio così, la Provvidenza è stata benefica.

Raff.– E perché?

Sett. – Perché mi ti ha fatto abbracciare prima che io muoia![9]

Raffaele è deciso ad attuare una rivolta armata per costringere il comandante della nave a dirigersi verso l’Inghilterra. Poerio e Settembrini però sono contrari e preferiscono una protesta scritta, come emerge dalla scena VII dell’Atto secondo:

Sett. – Ora tocca a voi, barone, di proporre, nella miglior maniera, come indurre il capitano a cambiare il corso della nave.

Poer. – Io non consiglio altro che scrivere una protesta, e presentarla al capitano, se egli si rifiuta lo minacceremo di presentarla alle Autorità americane per i danni arrecatici con la sua violenza.

Raff. – E se egli non cederà a questa dimostrazione?

Poer. – Lo citeremo innanzi al tribunale di New-York.

Raff. – Ma no, egregio barone, ciò non mi va ai versi. Noi dobbiamo far comprendere al capitano che siamo settantadue persone decisi a tutto, contro quindici della ciurma.

Poer. – Ma con ciò volete commettere una pressione morale, o per dir meglio un ammutinamento.

Raff. – Sarebbe ammutinamento quando noi legassimo il capitano ed i suoi marinai, e disporremo del legno a nostro piacimento.

Sett. – Raffaele, per la tua temerità io non ti riconosco. Tu mi sembri uscir di ragione, tu mi sembri davvero un matto.

Raff. – Caro padre, la fortuna è degli audaci.

Poer. – Amici miei, non ci scervelliamo solo noi tre pel bene comune, (a Raffaele). Tu aspetti un momento qui (a Settembrini) andiamo nella nostra cabina, (ivi faremo venire Spaventa, Pica, Pace, Ricci ed altri, sottoponiamo loro quanto desidera Raffaele che si faccia, e decideremo in proposito, (viano)[10].

Dopo una riunione con gli altri deportati, però, anche Silvio Spaventa si schiera a fianco di Raffaele e nella scena IX dell’Atto secondo così si esprime:

Spav. (Risoluto). Mi avete chiamato in mezzo a voi per un consiglio, ebbene ora l’entusiasmo di questi cari giovani, mi ha fatto cambiare di parere. Scorgendo la loro risoluzione, debbo confessarvi che  anche io sono contrario alla presentazione della protesta, la quale farà l’effetto della nebbia, cioè lascia il tempo che trova: perciò adesso che ci siamo, giuochiamo tutto per tutto, checché avvenga. La Provvidenza ci guiderà. (Si sente un vociare forte da dentro)[11].

 Poi scoppia la rivolta e Raffaele costringe il comandante della nave, Prentiss, a dirigersi verso l’Irlanda. Una volta sbarcati a Queenstown apprendono della morte di Ferdinando II a cui succede Francesco II.

Ciò che più colpisce, dal punto di vista storico, in questo dramma è la tesi di Poerio e Settembrini secondo la quale sarebbe auspicabile non la conquista unitaria della nazione da parte dei Savoia, come poi avvenne, ma  un’alleanza fra Vittorio Emanuele II e Francesco II Borbone per contrastare lo straniero (Austria e Francia), anche se Spaventa è piuttosto scettico su questa soluzione. Vorrei citare soltanto una parte della scena del quarto atto in cui i protagonisti discutono di questo problema:

Spav. – Finalmente Ferdinando ci ha levato l’incomodo,  però adesso abbiamo a che fare con suo figlio, che sembra non dissimile dal padre.

Poer. – Mentre ci lusingavamo che se fosse morto Ferdinando, suo figlio avrebbe risoluto il problema collo avvicinarsi a Vittorio Emmanuele, ed insieme avrebbero combattuto l’Austria, ora…

Sett. – Si potrebbe ancora sperare…

Spav. – Quanto vi sbagliate con le vane speranze. Non pensate che se anche il giovine Re avesse il desiderio di rendere libero il popolo, ci è l’Austria che glielo impedisce, tenendolo avvinto alla sua volontà. Non avete ascoltato dalla lettera testé letta, che lo si vorrebbe suppiantare col figlio di Maria Teresa? Perciò è facile supporre che questa gherminella sia stata suggerita dall’Austria per intimorire Francesco secondo. Egli che ha bevuto col latte il dispotismo, farà ciecamente quanto desidera lo straniero. A quest’ora, se avesse avuto coscienza di sé, si sarebbe affidato al popolo, pronto a dimenticare le colpe del padre suo, e dopo, mettendosi alla testa del suo esercito, avrebbe marciato per raggiungere i campi di Lombardia…[12]

Il dramma termina con i saluti reciproci tra deportati italiani e cittadini e cittadine inglesi, dai quali vengono accolti con entusiasmo, un po’ come nel libro di Nicolò.

Per concludere, vorrei osservare che questo cospicuo corpus di opere ispirate alla vicenda dei patrioti meridionali che si ribellarono al dispotismo borbonico e scontarono per questo una pena di quasi dieci anni di carcere duro nelle galere napoletane merita di essere tratto dall’oblio e inserito a pieno titolo nella storia del Risorgimento italiano, oltre che nella storia della letteratura italiana dell’Ottocento.

[In “D’animo virtuoso ed educato ad umanità”. Studi in ricordo di Marco Sirtori, a cura di Cristina Cappelletti e Thomas Persico, “Sinestesie”, a. XXXII, 2024, n. speciale, pp. 27-41]

Note


[1] G. Mazzoni, L’Ottocento cit.

[2] C. Bonvenga, Sognare una nazione. Antonio Nicoiò: patriota dimenticato, Tesi di laurea in Letteratura italiana contemporanea, Corso di laurea in Lettere moderne, Università del Salento a. a. 2016-2017 (relatore A.L. Giannone).

[3] ASRC, Carte Visalli, busta I  fasc.16. Manoscritto autografo di Antonio Nicolò, I dieci anni della mia prigionia. Conservato presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria [p.1].

[4] A. Nicolò, Ten years’ imprisonment in the dungeons of Naples, Alfred W. Bennet, London 1861, p. 53.

[5] Ivi, p. 61.

[6] Ivi, p. 156.

[7] ASRC, Carte Visalli, busta I, fasc. 16, cit., p. 50.

[8] A. G. [Antonio Guerritore], Poerio and the Neapolitan Prisoners Transported: A Drama in Three Acts, whith Prologue,  P. Rolandi, London 1859.

[9] A. Guerritore, I Deportati Napoletani, Tipografia Melfi e Joeìe, Napoli 1900, p. 48.

[10] Ivi, p.64.

[11] Ivi, p. 66.

[12] Ivi, p. 79.

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