di Paolo Vincenti
“Compa’, la vecchiaia è una brutta bestia”, ripeteva sempre mio nonno Uccio e si era in tempi in cui i vecchi erano ancora vecchi. Gli anziani cioè dimostravano anche nel fisico il peso dei loro anni ed erano considerati depositari di quella antica saggezza che, salvo rari casi, veniva da tutti loro riconosciuta. Erano dei punti di riferimento per le piccole comunità in cui noi siamo cresciuti. Per un diffuso senso di rispetto verso chi è più adulto e maturo l’età avanzata è sempre stata sinonimo di autorevolezza ed agli anziani, di più in passato, ci si rivolgeva per chiedere consigli, suggerimenti, indicazioni di vita. Addirittura essi suscitavano un timor reverentialis nei più giovani. Gli è che i vecchi, quand’io ero bambino, non somigliavano ai finti giovani di oggi e la senescenza comportava delle condizioni morfologiche e funzionali in decadimento rispetto alla giovane età. Oggi, grazie ai progressi della scienza medica e ad una generalizzata condizione di benessere che ha investito l’Occidente, le funzioni psico fisiche di chi è in età avanzata perdurano ottimali e infatti, secondo le statistiche, l’età media della popolazione europea si è notevolmente innalzata. Attualmente si parla di “quarta età” per intendere quell’arco temporale che va dagli ottant’anni ai cento. Bene, benissimo? Mica tanto. Il progresso della ricerca, se da un lato ci fa vivere meglio, dall’altro comporta grandi disagi. Apprendiamo spesso di centenari del tutto in grado di intendere e volere a quella veneranda età. Ma poiché ogni medaglia ha due facce, come Giano bifronte, tutto sta nel guardare l’altra faccia della stessa.