di Gianluca Virgilio
Canto dell’amicizia – è stato detto -, il II del Purgatorio, di quell'”amicizia nata dall’arte”[1], dalla comunione di esperienze culturali e spirituali, dalla vita o da un brano di vita comune, in cui i sodali pensarono e sentirono allo stesso modo, finché, consumate quelle esperienze, le strade non si divisero, impedendo che le affinità si consolidassero in costume, così forse inaridendo. Ed ora, trascorsi gli anni della giovinezza, quei casi e quegli eventi Dante li rivive come pervasi da uno stato di grazia, alla luce della memoria, come “una reminiscenza remota”[2]; e guarda ad essi col distacco che consente la serenità (che non esclude la severità) del giudizio, cosicché vero è che l'”autobiografismo realistico” del canto assume un aspetto “pudico e dissimulato”, “dolce poesia della memoria, nel preciso, realistico ricordo di giorni cari e lontani”[3].
Il canto II del Purgatorio è anche un canto pervaso da nostalgia, ed ha la sua premessa drammatica nel recupero memoriale cui l’arrivo di Casella sulla spiaggia dell’antipurgatorio induce Dante, riportandogli alla mente il suo, il loro mondo poetico giovanile e offrendo al lettore un privilegiato punto d’osservazione per comprendere il significato del passaggio dalla poesia tardo-stilnovistica che si copre d’un manto allegorico (all’altezza del Convivio) alla poesia sacra della Divina commedia, a cui ha posto mano e cielo e terra.