Quando mi accorsi della sua passione libraria non mancai di contribuire anch’io al fondo di quella “sua” biblioteca di cui, ora, la comunità e l’Amministrazione pubblica di Parabita possono menare vanto.
So di dover scrivere del libro di Mino Catrignanò, ma egli mi perdonerà se mi soffermo ancora un po’ sul caro Aldo D’Antico. In fondo quella Premessa che appare in questo libro è il suo ultimo scritto. Scritto per l’Avv. Mino Castrignanò. Con Aldo c’eravamo conosciuti al tempo delle scuole Medie, e poi non ci perdemmo più di vista. Quante storie fra di noi sulla sua terra degli Rischiazzi, nel feudo di Parabita; quante sere, quante notti, quanti pranzi, quante cene; e sempre con la buona Franca Capoti (sua moglie) che non si tirava mai indietro: cucinava per tutti, serviva tutti, accontentava tutti. Era una gioia quando a quel tavolo di sodali eravamo seduti con personaggi illustri. Aldo se li cercava, poi li invitava alla sua mensa. Cito solo qualcuno, perché so di dimenticarne molti. C’era Vittore Fiore, Antonio Leonardo Verri, Antonio Errico, l’esule cileno Martin Andrade, Luciano Provenzano, altri ancora.
Insomma, posso dire con certezza che la migliore scuola di letteratura e di poesia sia passata per le terre degli Rischiazzi. Ora Aldo non c’è più. Riposa per sempre in una capanna di foglie e fango in uno spazio di luce degli sterminati orizzonti dei cieli salentini. E tuttavia, prima di lasciare questa valle di lacrime e gioie, ha fatto in tempo a scrivere questa premessa per il suo amico Mino, dove afferma che «Un cammino affascinante quello intrapreso da Castrignanò in questo percorso a ritroso nella storia di Prosarte che, in trenta anni di attività, ha sviluppato un viaggio con l’uomo, le sue ansie, i suoi abbandoni, le sue conquiste. Ci sono passi in questo racconto ad una sola voce che andrebbero letti, riletti e conservati in memoria perché risultato di riflessioni preziose sulla natura umana e le sue peculiarità essenziali».
Ecco un pensiero di Aldo rivolto al rapporto amicale fra lui e l’avvocato, attore di teatro per passione. Quell’amicizia che Castrignanò spesso fa intersecare con i suoi personaggi di scena. Per la verità anche Monia Rosato, dirigente della CGIL di Lecce, fa riferimento alla sua amicizia con l’avvocato e, soprattutto, quando, a proposito del lavoro dell’attore di teatro, scrive che «È con immenso piacere e grandissimo onore che ho accettato l’invito di Mino Castrignanò di riportare, all’interno della sua raccolta di Opere Teatrali, la descrizione del lavoro dell’Attore da un punto di vista sindacale e contestualizzato nella nostra provincia. Affascinante, interessante è il mestiere dell’attore, di certo uno dei mestieri più belli e complessi, ma anche uno tra i più difficili da esercitare. Gli attori hanno la possibilità di esprimere se stessi in modi unici attraverso la recitazione e interpretare una varietà di ruoli che consente loro di vivere vite ed esperienze diverse senza doverle sperimentare realmente. La possibilità di connettersi emotivamente con il pubblico, la capacità di trasmettere emozioni e storie ha un impatto significativo sulle persone, creando connessioni profonde attraverso l’arte, di converso attrici e attori sono sottoposti al continuo giudizio da parte del pubblico».
Non c’è nulla di più veritiero di quanto scrive la Rosato, perché, sin da quando, nella storia dell’umanità, esiste il teatro e in esso la maschera (le maschere) tutta la drammaticità, come pure le felicità di essere nell’essere, può essere meglio rappresentata. In fondo, il teatro, i suoi teatranti, le sue maschere, le sue sceneggiature, i suoi colori, altro non sono che le varie fasi della vita di ognuno di noi, nel bene o nel male.
Mino Castrignanò offre in questo libro le sue Opere teatrali che egli ha scritto in un arco di tempo molto lungo, dal 1993 al 2023, cioè 30 anni. Sarebbe sufficiente leggere le sue Note di regia per capire il suo essere “fuori dalle consuetudini istituzionali, dalle stupide convenzioni politicantistiche”. Però va letta la sua intera Operetta teatrale per carpire il senso profondo di ciò che egli vuole dire e vuol far sapere al lettore. Lo fa già con la sua prima Opera (Il sole sotto la luna, del 1996), dove, in Nota, scrive che in questo scritto egli vuole: «mettere al centro la condizione dell’attore nel Sud, ed il suo agire teatrale. Enrique e Ramon sono due attori alla ricerca continua di un palcoscenico possibile, di una possibilità di teatro, di un teatro “come Garcia”, alludendo all’esperienza teatrale di Federico Garcia Lorca con la sua “Barraca”. Si tratta di una ricerca continua costellata da ripetute delusioni, ma anche da ripetute ripartenze, che rendono quella ricerca un’esperienza ciclica dell’esistenza che rendono quella ri- cerca un’ esperienza ciclica dell’ esistenza».
Ne Il Re Arlecchino (Atto teatrale del 2001), sempre in Nota di regia, scrive che si tratta di: «una storia di un Attore che rappresenta e racconta se stesso, interpretando Re Beniamino ed i suoi segreti mascheramenti da Arlecchino, una denuncia contro le convenzioni sociali e le consuetudini borghesi».
L’opera che più mi sgomenta è quella di Capitan Sturno (2005), dove l’autore mette alla berlina il percorso della sofferta costruzione dell’Unità d’Italia. Per uno come me – “garibaldino sin dalla nascita” e difensore dell’Unità della penisola -, è difficile metabolizzare quanto egli scrive, e cioè che Giuseppe Garibaldi sarebbe stato una sorta di bandito, al soldo dell’infame monarchia sabauda, colonizzatrice del Meridione d’Italia e massacratrice di migliaia e migliaia di contadini/e fatti passare per briganti. Tant’è che in Note di regia, afferma: «Capitan Sturno nasce al temine di un’approfondita ricerca storica e si pone l’ obiettivo di raccontare l’Unità d’ Italia non già come scritta dai vincitori e riportata nei testi scolastici, ma come l’avrebbero scritta i vinti, che costituiscono invero i veri vincitori morali di una sanguinaria invasione mascherata da unificazione./ Lo spettacolo pone al centro la storia di un brigante, ex sottufficiale dell’esercito borbonico, Rosario Parata di Parabita, in provincia di Lecce, datosi al brigantaggio in seguito allo scioglimento dell’esercito borbonico./ La ricerca è stata condotta con l’ausilio e la collaborazione del prezioso Archivio Storico Parabitano, che conserva e custodisce preziosi documenti e testimonianze storiche su Rosario Parata detto Lo Sturno, la cui vita è paradigmatica dell’Unità d’Italia. Lo spettacolo alterna brani recitati con la tradizionale tecnica orale del cantastorie, alternata a brani cantati, che sono staccati dal corpo del testo, pur costituendone lo svolgimento, ma che mantengono la loro autonomia estetica». Tuttavia l’opera è scritta con un sentimento di romantico cavaliere della notte.
Il monologo in cinque movimenti (2013) Prima che lo spettacolo cominci ha una sua caratteristica: l’autore si auto racconta. Scrive in Note di regia: «Si tratta di un interrogatorio dell’attore con se stesso. Una sorta di “terzo grado”, in cui l’attore, dopo venti anni di attività teatrale si interroga. Senza risparmiarsi, senza rifiutare le domande scomode, senza nascondersi, senza maschere».
Infine l’ultima sua opera teatrale, del 2023, il cui titolo è quello stesso del libro, È successo un’altra volta, un agile Monologo in cui l’autore scrive che nella pies: «viene affrontato il mistero del tempo che scorre. È stato scritto di getto in una giornata, esattamente il 29. 04. 23, a trent’anni esatti dalla fondazione di Prosarte, e trae spunto da un fatto realmente accaduto: il pendolo che davvero si ferma inspiegabilmente durante la notte, dopo aver dato la carica».
Ecco. Si tratta di un libro, che ha un percorso di “vita” di 30 anni ma che, nel leggerlo, ti intriga tanto da non farti addormentare.
Aldo D’Antico si è immerso nella luce dell’Altrove il 31 gennaio 2024. Lascia, su questa valle di lacrime e gioie, parenti, amici, amiche, compagni e compagne. Era semplice ma anche complesso, com’è la vita di tutti noi. Amava la storia, la considerava la più bella Maestra di vita. Amava la vita, ma non aveva paura della morte. Con lui ho attraversato praterie del sapere che mai potrò dimenticare. Che il transito gli sia stato lieve e leggero come una piuma di capinera.
[“Il pensiero mediterraneo” del 18 novembre 2024]