Le parole sferzanti appena riportate si leggono alle pp. 33-35 di un libro di Umberto Eco, Diario minimo (cito da un’edizione del 1975, che ristampa un articolo uscito anni prima, nel 1961). Ma sono ingiuste, perché trascurano completamente l’impatto positivo che il modello linguistico implicitamente proposto da Bongiorno, quel basic italian semplice, quasi elementare, ebbe su una popolazione italiana che nel 1961 aveva ancora, in grande maggioranza, una scarsissima confidenza con l’italiano e, in molti casi, non era neppure in grado di leggere e scrivere. La scorsa settimana abbiamo parlato di quanto sia stata importante, per l’alfabetizzazione degli italiani, la trasmissione televisiva «Non è mai troppo tardi» del maestro Manzi. Altrettanto utile fu, pur se non aveva intenti di didattica linguistica, il «Lascia o raddoppia?» condotto da Mike Bongiorno.
Mike Bongiorno nasce a New York il 26 maggio 1924 in una famiglia emigrata dalla Sicilia in America a metà Ottocento. Ricorre dunque quest’anno il centenario della nascita, come per Manzi. Mike giovane torna con la madre in Italia a Torino, dove va a scuola fino alla maturità classica. Grazie alla conoscenza dell’inglese e a una precisa scelta antifascista diventa staffetta partigiana durante la Resistenza. Catturato dalla Gestapo sta per essere fucilato; si salva perché gli trovano addosso documenti americani (più utile da vivo in un eventuale scambio di prigionieri, avranno pensato). Imprigionato a San Vittore, deportato in Germania, esce dal lager di Spittal proprio grazie a uno scambio di prigionieri. Rientrato negli Stati Uniti, collabora a emissioni radiofoniche in italiano destinate ai nostri emigrati; di nuovo in Italia, esordisce in televisione il 3 gennaio 1954, il giorno stesso in cui cominciano le trasmissioni televisive nel nostro paese.
Alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso molti cinema interrompevano la proiezione del film e si collegavano con la televisione, quando andava in onda «Lascia o raddoppia?»: gli spettatori non sarebbero andati al cinema, se avessero dovuto rinunciare alla loro trasmissione preferita. Al punto che, a quanto sembra, furono proprio i gestori di locali pubblici a chiedere, ottenendolo, che la trasmissione fosse spostata dal sabato al giovedì, perché non venissero ridotti gli introiti della serata più remunerativa dell’intera settimana. I concorrenti erano esperti di un particolare argomento ma non professionisti: la conoscenza della materia non poteva essere professionale, solo dilettantistica. Comuni cittadini concorrono rispondendo a domande su materie a loro scelta: domande difficili, di nozionismo puro e minuto. Ma nozionismo ottenuto a prezzo di applicazione e impegno, il concorrente deve dimostrarsi conoscitore profondo dell’argomento prescelto: musica classica, architettura, calcio, jazz, ecc. E premi in gettoni d’oro guadagnati con merito, non aprendo pacchi e rispondendo a domande spesso banali, come capita oggi sugli schermi televisivi.
L’analisi urticante di Eco insisteva sulla “mediocrità” che caratterizzava il presentatore e in un certo modo lo accomunava ai concorrenti: in quella trasmissione l’uomo comune, l’everyman di tutti i giorni, diventava protagonista. Un italiano medio, che non metteva in imbarazzo nessuno per confronto. Ma quella trasmissione di tono medio valse a fornire al popolo italiano del dopoguerra conoscenze elementari e una educazione linguistica di base che molti italiani non possedevano. Utilizzando una lingua garbata e affabile, educata, lontanissima dalla comunicazione “urlata” che oggi raggiunge perfino cariche istituzionali come la Presidenza del Consiglio e la Presidenza del Senato. Un italiano «informale standard, sintatticamente precario» (come De Mauro scriveva nel 1970) e tuttavia, proprio in virtù della sua semplicità, complessivamente in grado di riflettere e di orientare le tendenze della lingua comune e quindi capace di favorire l’accostamento della maggioranza degli italiani al possesso e all’uso di una lingua nazionale ancora padroneggiata da troppo pochi.
S’intitola «Mike Bongiorno 1924-2024» una mostra che a Milano, a Palazzo Reale, dal 17 settembre al 17 novembre, ha illustrato la vicenda personale e professionale del presentatore, protagonista della storia della tv e di quella del nostro Paese. Non ho fatto in tempo a vedere la mostra, purtroppo: e quindi non so se in qualche pannello illustrativo Bongiorno è stato qualificato come uomo comune (nel senso che ho cercato di spiegare), come everyman. Ma forse una simile definizione non sarebbe dispiaciuta a Bongiorno, se ricordiamo che prima Ezra Pound (poeta che va ammirato per le poesie e dimenticato per l’infatuazione per Mussolini e per il fascismo) e poi Charles Singleton (dantista illustre) quella qualifica applicarono addirittura a Dante.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 22 novembre 2024]