Nel 2017 Marco mi invitò a Bergamo per presentare, insieme all’amico Bepi Bonifacino, dell’Università di Bari, proprio il volume di studi in onore di Matilde[6]. Poi ci incontrammo altre volte a Lecce e una di queste volte Marco mi donò il cd Vanity, un album di canzoni da lui incise nel 2019. Così scoprii anche la sua grande passione per la musica e il canto. Sempre nel 2019, a mia volta, lo invitai ancora per un Convegno su uno scrittore salentino, Luigi Corvaglia, a cui partecipò con una relazione sul romanzo di quest’ultimo, Finibusterre, compreso ora nei relativi Atti[7]. Anche stavolta accettò con entusiasmo e il suo intervento, insieme all’altro su Castromediano, figura anche nell’ultimo suo volume che mi inviò appena uscì[8]. Fu, quella, del Convegno su Corvaglia, l’ultima volta che vidi Marco col quale rimasi in contatto anche dopo. In occasione del suo concorso per professore ordinario mi chiese dei consigli sulla formazione della commissione e l’ultimo suo messaggio, che conservo ancora sul mio cellulare, in cui mi informava del buon esito del concorso, risale al 25 giugno 2022, due settimane prima della scomparsa.
Ma entriamo ora nel merito della relazione, che riguarda appunto la memorialistica risorgimentale meridionale che fu l’occasione, ripeto, del nostro incontro. E qui riassumo i risultati delle mie ricerche per poi passare a presentare alcune novità emerse negli ultimi tempi sempre su questo argomento. Incominciai a occuparmi di Castromediano in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia che ricorreva nel 2011, anno anche del bicentenario della nascita del duca, approfondendo questa figura e la sua opera più importante, Carceri e galere politiche. Le Memorie di Castromediano allora erano state quasi dimenticate anche dagli specialisti, mentre ora vengono considerata uno dei testi più significativi e originali della memorialistica risorgimentale. Proprio Matilde Dillon Wanke, nel suo articolo che deriva dall’intervento che tenne a Cavallino, le definisce «un testo del tutto eccezionale nell’ampio e variegato panorama della memorialistica ottocentesca»[9], trattandosi di un’opera appartenente a un genere misto, «insieme appassionata e rigorosa, dove l’inchiesta, la denuncia e il racconto s’intrecciano»[10].
Quest’opera vide la luce, in due tomi, a Lecce, nel 1895-’96 e ha avuto una stesura molto travagliata, con interruzioni e riprese da parte dell’autore per oltre tre decenni, per cui può essere definite davvero “il libro della vita” di Castromediano[11]. Il duca riuscì a vedere solo il primo volume, perché morì il 26 agosto del 1895 e il secondo uscì l’anno dopo. Le Memorie sono composte dunque da ventinove capitoli, oltre al proemio, per un totale di ben cinquecentocinquanta pagine, e sono sostanzialmente la cronaca dettagliata della dura esperienza vissuta dall’autore e da numerosi altri patrioti meridionali nelle carceri e nelle galere di Napoli, Procida, Montefusco e Montesarchio, dal 1848 al 1859. Esse infatti vanno dalla reclusione di Castromediano nel carcere di Lecce avvenuta il 30 ottobre ‘48 alla avventurosa liberazione in Irlanda, con lo sbarco a Queenstown del 6 marzo 1859, narrata nelle Memorie come una vera e propria fiction, e poi con l’arrivo a Torino un mese dopo. Ma la particolarità di quest’opera sta nel fatto che la narrazione, cronologicamente ordinata, delle vicende carcerarie, si interrompe a volte per lasciare spazio ad aneddoti, ritratti, bozzetti e soprattutto ad ampie digressioni su vari aspetti della realtà e della società meridionale dell’Ottocento, come quelle sul clero e l’episcopato, la magistratura, la camorra, ai quali sono dedicati interi capitoli.
Il fine dell’autore è quello di testimoniare le sofferenze, le vessazioni, le angherie subite da lui e dai suoi compagni in questi terribili luoghi di reclusione per i propri ideali di libertà. E infatti motivo costante delle Memorie sono la denuncia delle disumane condizioni in cui vivevano i detenuti politici e lo sdegno e l’indignazione contro il governo borbonico
Sempre qui, l’autore confessa che la prima idea di scriverle la ebbe appena mise piede nelle carceri di Lecce nel 1848, condannato «alla pena di anni trenta di ferri», come recitava la sentenza emessa dal Tribunale di Lecce. Di quale grave colpa si era macchiato il duca che era nato a Cavallino di Lecce il 1811? Venne accusato di cospirazione antiborbonica, in quanto egli era stato tra i fondatori del Circolo Patriottico Salentino, del quale divenne il segretario, e figurava tra i firmatari di un Proclama col quale si protestava contro l’abrogazione dello Statuto costituzionale, ad opera di Ferdinando II di Borbone, che qualche mese prima l’aveva concesso, e si invitava il popolo a difendere la conquistata libertà. Più o meno dello stesso reato vennero accusati anche tutti gli altri patrioti meridionali che furono incarcerati per quasi dieci anni nella peggiori galere borboniche. E alcuni di loro scrissero per l’appunto dei memoriali, come vedremo.
Ecco, nel corso di questa ricerca su Castromediano, scoprii l’esistenza di altri scritti memorialistici che affrontano lo stesso argomento e che costituiscono un corpus compatto e omogeneo, pur nelle ovvie e inevitabili differenze di struttura e di stile esistenti tra di esse[12]. E anche questi erano stati quasi completamente ignorati dagli studiosi. Il primo in ordine cronologico è quello di Nicola Palermo, un patriota calabrese che nel 1863 pubblicò a Reggio Calabria il volume Raffinamento della tirannide borbonica ossia i carcerati in Montefusco, con una introduzione del fratello Nicodemo, anch’egli patriota, volume che deriva però da alcuni articoli già apparsi sulla «Nazione» di Firenze nel 1860[13]. Il secondo è il volume Antonio Garcea sotto i Borboni di Napoli e nelle rivoluzioni d’Italia dal 1837 al 1862, che ha come sottotitolo Racconto storico, pubblicato a Torino nel 1862 e scritto da Giovannina Garcea Bertola sulla base dei ricordi di quest’altro patriota calabrese di cui era moglie[14]. Il terzo, assai più breve, è uno scritto del brindisino Cesare Braico, Ricordi della galera, che figura nel volume Lecce 1881, apparso a Lecce in quello stesso anno, cioè nell’81[15]. A questi bisogna aggiungere un libro di carattere storico, cioè Ferdinando II e il suo regno, di Nicola Nisco, pubblicato a Napoli nel 1884[16], in cui l’autore rievoca i fatti in questione in alcune pagine, e in particolare nel capitolo XXXVII intitolato I politici nelle galere.
Tutti questi scritti che ho citato, di Palermo, Garcea, Braico e Nisco, hanno in comune, oltre alla vicenda narrata, il fatto che i loro autori, tutti oppositori dei Borboni e per questo condannati a trenta o più anni di “ferri”, sono stati compagni di cella, hanno cioè vissuto insieme per quasi undici anni, dal 1848 al 1859, nei bagni penali di Napoli, Procida o Ischia, e poi nelle galere di Montefusco e Montesarchio prima di essere liberati in maniera avventurosa sulla nave che doveva condurli in America.
E, accanto a questi bisogna citare ancora un’altra opera, la più nota in assoluto, che è anche uno dei capolavori della memorialistica risorgimentale, le Ricordanze della mia vita di Luigi Settembrini, apparse a Napoli in due volumi nel 1879-’80, con una introduzione di Francesco De Sanctis. Settembrini scontò anch’egli, per gli stessi motivi (cospirazione antiborbonica), numerosi anni di detenzione, non nelle galere citate, ma nel carcere dell’isoletta di Santo Stefano. Anche tra quest’opera e le altre poc’anzi menzionate (ad eccezione del breve scritto di Braico che si limita invece agli anni di prigionia) esiste infatti un episodio in comune, proprio quello, finale, relativo alla liberazione dei patrioti, di cui peraltro, com’è noto, il principale protagonista fu proprio il figlio di Settembrini, Raffaele.
Ho avuto occasione di scrivere che tutti gli scritti memorialistici menzionati compongono una sorta di “epopea”, termine che ho usato nella duplice accezione che esso ha comunemente: da un lato, cioè, per indicare le vicende gloriose, memorabili di questo gruppo di patrioti meridionali che ne sono stati i protagonisti; dall’altro, per fare riferimento all’insieme delle opere memorialistiche che narrano queste vicende, alla “letteratura” sull’argomento[17]. Nei fatti che sono oggetto della narrazione, infatti, non manca nessuno degli ingredienti che caratterizzano un’epopea: l’eroismo, il coraggio, il sacrificio e nemmeno un episodio avventuroso, quasi romanzesco, che porta al lieto fine con la liberazione dei patrioti.
Però, come dicevo poco fa, i nomi di questi patrioti e le loro opere sono stati dimenticati, al contrario di quello che è accaduto per i cosiddetti “martiri dello Spielberg” (Silvio Pellico, ma anche Piero Maroncelli, Giorgio Pallavicino, Alessandro Andryane, Federico Confalonieri) che invece figurano sempre nei libri di storia e nelle trattazioni sulla memorialistica ottocentesca, a cominciare da quella di Guido Mazzoni[18] che ha costituito un po’ il modello per tutte le altre opere venute dopo. Solo una grande scrittrice italiana del Novecento, Anna Banti, ne ha recuperato la memoria e soprattutto il senso più profondo della loro lotta in un romanzo pubblicato nel 1967, dal titolo Noi credevamo, che fin dal titolo mette in rilievo la fede che animava questo manipolo di uomini coraggiosi i quali rinunziarono quasi sempre a una vita comoda e senza problemi per combattere per le loro idee[19]. E uno dei personaggi principali del romanzo, una sorta di deuteragonista, è proprio Castromediano.
Ed è il caso ancora di osservare che di questo gruppo facevano parte alcuni degli uomini più eminenti del Mezzogiorno, una vera e propria élite, quasi la classe dirigente del Reame, composta da uomini politici e intellettuali, per lo più giovani intorno ai trenta-quarant’anni, appartenenti a diverse classi sociali, da quella aristocratica alla borghesia al popolo. Ne cito qualcuno: Carlo Poerio, ministro liberale di Ferdinando II di Borbone, il più anziano; Silvio Spaventa, pensatore e zio di Benedetto Croce; Luigi Settembrini, appunto, futuro storico della letteratura italiana e rettore dell’Università di Napoli; Nicola Nisco, che sarebbe diventato uno storico famoso; e ancora Michele Pironti, Giuseppe Pica, Nicola Schiavoni, oltre agli autori degli scritti memorialistici che ho già nominato, Castromediano, Palermo, Garcea, Braico.
Alcuni di questi, come Braico e Garcea, una volta liberi e ritornati in Italia, dopo tanti anni di sofferenze nelle galere borboniche, ripresero a combattere nelle fila dei garibaldini e Braico anche nella terza guerra d’indipendenza; altri, come Castromediano, Schiavoni, Nisco, Pica, Pironti, diventarono parlamentari (Pironti per un certo periodo fu anche ministro di Grazia e Giustizia); altri ancora, come Spaventa, Settembrini e Nisco, si distinsero negli studi filosofici, letterari, storici. Questo, per ricordare l’alto livello intellettuale, morale, civile dei protagonisti.
Al di là delle differenze esistenti, comune è lo scopo degli autori di questi scritti: tramandare ai posteri la dura esperienza da loro vissuta nelle galere borboniche in nome di un ideale («Noi credevamo» appunto, per riprendere il titolo del romanzo della Banti da cui il regista Mario Martone, nel 2011, trasse il film omonimo), che è quello dell’unità della nazione, e al tempo stesso denunciare l’ingiustizia, la mancanza di libertà e dei più elementari diritti umani che caratterizzava il Regno delle due Sicilie.
Tutte queste opere, come s’è detto, e anche quelle che citerò tra un po’, hanno in comune l’episodio più avventuroso di tutta questa vicenda, quello che conclude degnamente l’epopea dei patrioti meridionali, cioè la loro liberazione sulla nave che doveva condurli a New York. In questo episodio, non manca davvero alcun ingrediente tipico del romanzo d’avventura.
La storia è nota, ma la ricordo perché la troveremo anche in altre due opere di cui parlerò tra poco. Nel gennaio del 1858 la pena dell’ergastolo e del carcere venne commutata in quella dell’esilio perpetuo dal Regno e dalla deportazione in America e per questo sessantasei patrioti vennero portati sul vaporetto Stromboli fino a Cadice dove dovevano essere prelevati dalla nave americana David Stewart. Su questa nave riesce a salire, spacciandosi per un cubano e offrendosi al comandante come cameriere, il figlio di Luigi Settembrini, Raffaele, che viveva in Inghilterra ed era diventato ufficiale della marina mercantile inglese. Dopo una iniziale resistenza da parte del comandante Samuel Pentiss alle richieste dei patrioti, la nave viene dirottata verso l’Irlanda dove approda nel porto di Queenstown.
Questa vicenda è narrata, sostanzialmente in maniera concordante, dai memorialisti citati, ma anche dagli altri due autori che citerò tra poco. Ciò che successe dopo lo sbarco a Queenstown è noto. I patrioti meridionali furono accolti dagli irlandesi e dagli inglesi con manifestazioni di simpatia e affetto e dopo una breve permanenza ritornarono in Italia dove, come abbiamo detto, continuarono a impegnarsi in vario modo per il loro paese.
(continua)
[In “D’animo virtuoso ed educato ad umanità”. Studi in ricordo di Marco Sirtori, a cura di Cristina Cappelletti e Thomas Persico, “Sinestesie”, a. XXXII, 2024, n. speciale, pp. 27-41]
Note
[1] Atlante letterario del Risorgimento 1848-1871, a cura di M. Dillon Wanke in collaborazione con M. Sirtori, Cisalpino Istituto Editoriale Universitario, Bergamo, 2011.
[2] Sigismondo Castromediano: il patriota, lo scrittore, il promotore di cultura. Atti del Convegno Nazionale di Studi (Cavallino di Lecce, 30 novembre – 1 dicembre 2012), a cura di A.L. Giannone e F. D’Astore, Congedo, Galatina 2014.
[3] Cfr. M. Sirtori, Gli scritti giovanili di Sigismondo Castromediano: tra racconto storico e odeporico, in Tra realtà storica e finzione letteraria. Studi su Sigismondo Castromediano, a cura di A.L. Giannone, Pensa MultiMedia, Lecce 2019, pp. 219-237.
[4] F. D’Astore, Manoscritti giovanili di Sigismondo Castromediano. Archivio Castromediano di Lymburg, Congedo, Galatina 2015.
[5] Tra realtà storica e finzione letteraria. Studi su Sigismondo Castromediano cit.
[6] Lo spazio tra prosa e lirica nella letteratura italiana. Studi in onore di Matilde Dillon Wanke, a cura di L. Bani e M. Sirtori, Lubrina editore, Bergamo 2015.
[7] Cfr. M. Sirtori, Prove d’intertestualità nel romanzo di Luigi Corvaglia, in Luigi Corvaglia letterato, autore teatrale, filosofo e scrittore politico. Atti del primo Convegno nazionale di studi (Melissano, Lucugnano, Santa Maria di Leuca, 21-23 novembre 2029), a cura del Centro Studi Corvagliani, Lecce, PensaMultimedia, 2021.
[8] Cfr. M. Sirtori, Storia memoria invenzione nella narrativa e nel teatro italiano di Otto e Novecento, Cisalpino Istituto Editoriale Universitario, Bergamo 2021.
[9] M. Dillon Wanke, Su Carceri e galere politiche di Sigismondo Castromediano, in Tra realtà storica e finzione letteraria. Studi su Sigismondo Castromediano cit., p. 14.
[10] Ivi, p. 17.
[11] Sulle Memorie di Castromediano ci sia permesso di rinviare a A.L. Giannone, Sigismondo Castromediano e la memorialistica risorgimentale, in «Critica letteraria», a. XL, fasc. II, n. 155/2012, pp. 289-306; ora in Id., Sentieri nascosti. Studi di Letteratura italiana dell’Otto-Novecento, Milella, Lecce 2016, pp. 15-36.
[12] Su questi scritti cfr. A.L. Giannone, Epopea risorgimentale nel Sud: Sigismondo Castromediano e altri memorialisti, in Sigismondo Castromediano: il patriota, lo scrittore, il promotore di cultura cit.; ora in Id., Sentieri nascosti. Studi di Letteratura italiana dell’Otto-Novecento cit., pp. 37-62.
[13] N. Palermo, Raffinamento della tirannide borbonica ossia I carcerati in Montefusco, Tipografia Adamo D’Andrea, Reggio Calabria 1863.
[14] Antonio Garcea sotto i Borboni di Napoli e nelle rivoluzioni d’Italia dal 1837 al 1862. Racconto storico per Giovannina Garcea nata Bertola, Tipografia Letteraria, Torino 1862. Sulle figure di Garcea e della Bertola si veda V. Teti, Il patriota e la maestra. La misconosciuta storia d’amore e ribellione di Antonio Garcea e Giovanna Bertòla ai tempi del Risorgimento, Quodlibet, Macerata 2012.
[15] C. Braico, Ricordi della galera, in Lecce 1881, Giuseppe Spacciante editore, Lecce 1881, pp. 33-40.
[16] N. Nisco, Ferdinando II e il suo regno, Morano, Napoli 1884.
[17] Cfr. A.L. Giannone, Epopea risorgimentale nel Sud: Sigismondo Castromediano e altri memorialisti cit. Su questa vicenda cfr. anche S. C. Soper, Southern Italian prisoners on the stage of international politics, in «Journal of Modern Italian Studies», 25, a. 2020, n. 2.
[18] G. Mazzoni, L’eloquenza e le ricordanze di fede e d’azione, inId., L’Ottocento, Vallardi, Milano 19607.
[19] A questo proposito ci sia permesso di rinviare a A.L. Giannone, Il «più leale tra noi»: la figura di Sigismondo Castromediano nel romanzo di Anna Banti, «Noi credevamo», in «L’Idomeneo». Rivista della Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione di Lecce, 12 (2010), pp. 55-65; ora in Id., Sentieri nascosti. Studi sulla letteratura italiana dell’Otto-Novecento cit., pp. 63-80.