Taccuino di traduzioni 9. Barthes, Sebald, Berger (quattro non-traduzioni)

2. CAMERA CHIARA

(da Roland Barthes, La chambre claire)

Se una foto mi piace
se una foto mi turba
non la lascio andare.

La contemplo, la scruto.

Ma
in fondo al giardino d’inverno
il volto di mia madre sbiadisce:
svanisce.

L’avevo trovata, riconosciuta, lei,
l’avevo vista, era lei –

e ora dirò perché è lei
in che cosa è lei

ne farò ingrandire il volto
particolare dopo particolare –

mia ingenuità!
per conoscere la verità di un viso
vorrò ingrandirne ogni dettaglio:
giungerò così a cogliere l’essenza della madre?

Si j’aime une photo, si elle me trouble, je m’y attarde. Qu’est-ce que je fais, pendant tout le temps que je reste là devant elle? Je la regarde, je la scrute, comme si je voulais en savoir plus sur la chose ou la personne qu’elle représente. Perdu au fond du Jardin d’Hiver, le visage de ma mère est flou, pâli. Dans un premier mouvement, je me suis écrié : « C’est elle! C’est bien elle! C’est enfin elle! » Maintenant, je prétends savoir — et pouvoir dire parfaitement— pourquoi, en quoi c’est elle. J’ai envie de cerner par la pensée le visage aimé, d’en faire l’unique champ d’une observation intense ,j’ai envie d’agrandir ce visage pour mieux le voir, mieux le comprendre, connaître sa vérité (et parfois, naïf, je confie cette tâche à un laboratoire). Je crois qu’en agrandissant le détail « en cascade » (chaque cliché engendrant des détails plus petits qu’à l’étage précédent), je vais enfin arriver a l’être de ma mère.

3. HO GIÀ ABITATO QUESTA CASA

(da W. G. Sebald, Die Ringe des Saturn / Gli anelli di Saturno)

…ma perché sùbito l’impressione
di abitare – di aver abitato –
questa casa?

di abitare, vivere, lavorare come lui?

Questo soltanto so:
rimasi stregato
(fu nello studio che ha le finestre a settentrione)
davanti alla scrivania di mogano portata da Berlino
(non vi lavorava più: sempre troppo
freddo lì).

Ma ero io, anch’io, non lui soltanto ad aver abbandonato
quel luogo immerso nella luce tenue del nord,
erano miei il fodero degli occhiali
la carta da lettera
gli arnesi scrittori
lì abbandonati!

E il disimpegno sul giardino?
: l’avevo traversato (io o
un altro
da me)
per anni e anni: e
i cesti di vimini ricolmi di
legnetti per il fuoco
lisci sassi albicanti e grigiochiari
conchiglie e riporti dalla spiaggia
tutti silenzioso accumulo sulla scansia contro il muro azzurrino
e pure
buste
involucri raccolti per essere riusati
nell’angolo accanto alla porta della cucina:

riverberavano su di me come nature morte
scaturite dalla mie mani
innamorate
dell’inutile.

Guardai la sala da pranzo,
esso pure magico spazio:
su ripiani in gran parte vuoti
un paio di bicchieri
e due dozzine di piccolissime mele rossodorate
luccicavano sul davanzale ombreggiato
da un tasso

: e Michael* mi guidava per spazi d’una casa che avevo già abitato.

* si tratta di Michael Hamburger, poeta e traduttore dal tedesco in inglese, legato a Sebald da profonda amicizia e stima reciproca. In uno degli episodi forse più memorabili degli Anelli di Saturno Sebald racconta della propria visita nella casa di Hamburger nel Suffolk.

Aber warum ich gleich bei meinem ersten Besuch bei Michael den Eindruck gewann, als lebte ich oder als hätte ich einmal gelebt in seinem Haus, und zwar in allem geradeso wie er, das kann ich mir nicht erklären. Ich weiß nur noch, daß ich in dem hohen Atelierzimmer, dessen Fenster nach Norden gehen, gebannt gestanden bin vor dem schweren, noch aus der Berliner Wohnung stammenden Mahagonisekretär, den Michael, wie er mir sagte, als Arbeitsplatz aufgegeben hatte, wegen der in dem Atelier sogar mitten im Sommer herrschenden Kälte, und daß es mir, indem wir über die Schwierigkeiten des Heizens alter Häuser redeten, mehr und mehr war, als hätte nicht er diesen kalten Arbeitsplatz verlassen, sondern ich, als wären die in dem sanften Nordlicht offenbar seit langen Monatenunberührt daliegenden Brillenfutterale, die Briefschaften und das Schreibzeug einmal meine Brillenfutterale, meine Briefschaften und mein Schreibzeug gewesen. Auch in dem Vorhaus zum Garten schien es mir, als hätte ich oder einer wie ich dort gewirtschaftet seit Jahr und Tag. Die Weidenkörbe mit dem aus kleinsten Zweigen zusammengeschnittenen Feuerreisig, die abgeschliffenen weißen und hellgrauen Steine, Muscheln und sonstigen Fundstücke vom Ufer des Meers in ihrer lautlosen Versammlung auf der Kommode vor der blaßblauen Wand, die in einer Ecke bei der Tür zur Speisekammer aufgestapelten und ihrer Wiederverwendung entgegenharrenden Versandcouverts und Kartonagen wirkten auf mich, als wären es Stilleben, entstanden unter meiner eigenen, am liebsten das Wertlose bewahrenden Hand. Und beim Hineinblicken in die eine besondere Anziehungskraft auf mich ausübende Speisekammer, wo auf den größtenteils leeren Stellagen ein paar Gläser mit Eingewecktem verdämmerten und ein paar Dutzend sehr kleine rotgoldene Äpfel in dem biblischen Gleichnis, ergriff die zugegebenermaßen gänzlich vernunftwidrige Vorstellung von mir Besitz, daß mich diese Dinge, das Feuerreisig, die Kartonagen, die eingeweckten Früchte, die Seemuscheln und das Rauschen in ihrem Inneren überdauert hatten und daß ich von Michael geführt wurde durch ein Haus, in dem ich vor langer Zeit einmal logiert haben mußte.

4. LE COSE CHIEDONO DI ESSERE DISEGNATE

(da John Berger, Bento’s Sketchbook / Il taccuino di Bento)

Un tipografo polacco (amico del mio tipografo bavarese)
mi regalò un taccuino rilegato in pelle:
ancora intonso –
è quello di Bento! lo riconobbi subito.

.          .         .        .        .         .        .

Bento Spinoza si guadagnò la vita
molando lenti

dedicò i suoi anni migliori
alle opere filosofiche
(pubblicate postume).

Amava disegnare.

Gli amici ne salvarono i manoscritti
– ma non il taccuino.

L’aveva portato con sé ovunque
– e sempre ho coltivato il sogno di ritrovarlo.

I disegni
sarebbero quelli delle cose che osservava.

E abitava a pochi passi da Rembrandt
(certo si sono incontrati).

… disegni, parole,
il suo pensiero, il suo sguardo,
s’accavalla al suo il mio
s’inoltra nel suo il mio
lo legge
e conversa con quello di Vermeer, di De Hooch…

E ora, disegno dopo disegno,
lo sguardo interroga il mondo,
sguardo condiviso,
chi saprà distinguere me da lui?

The philosopher Baruch Spinoza (1632-1677) – generally known as Benedict (or Bento) de Spinoza – earnt his living as a lensgrinder and spent the most intense years of his short life writing On the improvement of the Understanding and the Ethics, both of which were only published posthumously. We know from other peoples’ souvenirs and memories of the philosopher that he also drew. He enjoyed drawing. He carried a sketchbook around with him. After his sudden death – perhaps from silicosis, a consequence of his grinding lenses – his friends rescued letters, manuscripts, notes, but apparently didn’t find a sketchbook. Or, if they did, it later got lost.
For years now, I have imagined a sketchbook with his drawings in it being found. I didn’t know what I hoped to find in it. Drawings of what? Drawn in what kind of manner? De Hooch, Vermeer, Jan Steen, Gerard Dou were his contemporaries. For a while in Amsterdam he lived a few hundred metres away from Rembrandt, who was twenty-six years his elder. Biographers suggest the two probably met. As a draughtsmann Spinoza would have been an amateur. I wasn’t expecting great drawings in the sketchbook, were it to be found. I simply wanted to reread some of his words, some of his startling propositions as a philosopher, whilst at the same time being able to look at things he had observed with his own eyes.
The last year a Polish printer, who is a friend of mine living in Bavaria, gave me a virgin sketchbook, covered with suede leather, the colour of skin. And I heard myself saying: This is Bento’s!
I began to make drawings prompted by something asking to be drawn.
As time goes by, however, the two of us – Bento and I – become less distinct. Within the act of looking, the act of questioning with our eyes, we become somewhat interchangeable. And this happens, I guess, because of a shared awareness about where and to what the practice of drawing can lead.

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