- L’incarico a Torquemada e la riforma del tribunale
L’11 febbraio del 1482 furono nominati dal tribunale sette inquisitori domenicani, tra i quali spiccava il nome di Tomás de Torquemada[3], prelato e nipote di un importante funzionario della Chiesa spagnola. Egli divenne inquisitore generale del regno di Castiglia nel 1483, all’età di 62 anni, e da quel momento incarnò per molti anni l’essenza stessa del tribunale[4].
In molti elogiavano Torquemada per il suo stile di vita: si diceva che non mangiasse mai carne, né usasse lino nel suo letto. Non aveva mai favorito parenti o conoscenti, ed era visto come un esempio di uomo retto e devoto[5].
Al tempo della reggenza nell’Aragona di Ferdinando, in Spagna erano presenti ebrei, musulmani e cristiani. In un primo momento, le tre comunità convissero in maniera pacifica e Ferdinando si guadagnò l’appellativo di “re delle tre religioni”[6]. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, la presenza ebraica divenne molto forte dal punto di vista culturale e religioso, poiché gli ebrei avevano raggiunto posizioni di rilievo all’interno della società, soprattutto grazie alla loro dedizione al lavoro. Questa situazione alimentò l’accanimento della popolazione nei confronti della razza “diversa” ed agli ebrei venne associato l’appellativo di “marrani”. Tutto ciò avrebbe condotto infine ai massacri e alle espulsioni forzate[7].
Quando, nel XV secolo, il re Ferdinando ottenne il via libera per la creazione del Tribunale dell’Inquisizione, mosso dal fatto che la maggior parte degli ebrei convertitisi al Cristianesimo continuasse a praticare in segreto la propria religione, nel documento di approvazione figurò anche la firma di Torquemada. I conversos, per ottenere il supporto da parte della popolazione, risposero con l’uccisione dell’inquisitore Pedro de Arbués nel 1485, mentre questi pregava nella cattedrale di Saragozza. Per contrasto il popolo, fino a quel momento contrario alla presenza dei tribunali nelle città, decise di appoggiare la Corona[8].
Il problema dell’eresia religiosa era molto importante per il priore che, in virtù di ciò, riuscì ad influire sui Re Cattolici affinché si adoperassero nel combatterla e vietassero agli ebrei di ricoprire incarichi pubblici. Di conseguenza, Torquemada sfruttò l’assassinio dell’Inquisitore Pedro de Arbués per ottenere un cambio di prospettiva fra la popolazione, così come il presunto infanticidio del Santo Niño de la Guardia ad Avila, in seguito al quale ebbe luogo il primo auto de fe della città, fino a quel momento caratterizzata da una convivenza pacifica di musulmani ed ebrei, che partecipavano liberamente agli eventi pubblici[9]. Proprio ad Avila, il tesoriere dei Re Cattolici, Fernán de Núñez de Arnalte, ebbe l’idea di fondare un convento dedicato a San Tommaso D’Aquino, ma a causa della sua morte il progetto fu realizzato dalla moglie e da Torquemada, a cui il tesoriere aveva delegato tale compito nel testamento[10]. Inoltre, l’inquisitore diede inizio a dei lavori di restauro nel monastero di Segovia nel 1471 grazie al finanziamento dei Re Cattolici e fornì indicazioni precise circa le scene da rappresentare per mettere in risalto il trionfo della Chiesa e della monarchia contro i movimenti ereticali. Difatti, nella cappella posta all’ingresso del monastero di Segovia furono realizzate delle decorazioni che richiamavano la vittoria della fede cattolica sull’eresia: si trattava di un’immagine simbolica che rappresentava una lotta tra cani e lupi, in cui i cani risultavano vincitori.
Inoltre, vennero inserite delle allusioni alla coppia reale, rappresentata con le mani a sostengo della croce, per sottolineare il loro coinvolgimento diretto nella questione religiosa insieme a Santo Domingo de Guzmán[12].
Quest’ultimo, considerato il fondatore dell’ordine domenicano, fu raffigurato in entrambi i monasteri, tanto a Segovia quanto ad Avila, nell’atto di colpire con un bastone un animale dalle forme canine che ardeva tra le fiamme.
Si trattava di una creatura ispirata al cosiddetto alboraique, ossia un’allegoria del falso converso e nemico della fede. Nel Libro o Tratado del Alboraique, che viene fatto risalire al 1448, il termine alboraique era associato ad un cavallo dalla forma indefinita, donato dall’Arcangelo Gabriele a Maometto. Da qui passò ad indicare i cristiani nuovi, che non erano in realtà né cristiani né ebrei ma una sorta di ircocervo, insomma, su cui si esercitava l’intolleranza degli ortodossi. L’animale era così descritto:
Alboraique tenía boca de lobo y así la tenían los marranos, pues eran hipócritas y falsos profetas. Alboraique tenía orejas de galgo, y los marranos eran perros, pues volvían a lamer el vómito de su sabbath. Comía toda clase de cosas y los marranos comían manjares moros y cristianos y nunca ayunaban…[14]
Torquemada completò il messaggio evangelico tramite iscrizioni all’interno degli edifici ed opere pittoriche che dominavano gli altari: prevalevano episodi della vita dei santi collegati con il periodo storico in atto, come San Pietro martire ucciso da un eretico o Santo Domingo de Guzmán come Inquisitore durante un auto de fe. Infine, il priore si fece raffigurare tra i santi Domenico, Tommaso e Pietro, con i Re Cattolici, la Vergine e il bambino: si trattava degli esponenti direttamente coinvolti nella lotta all’eresia[15]. Torquemada voleva quindi stabilire un forte legame tra le immagini rappresentate e la lotta all’eresia ebraica che si stava svolgendo in quegli anni, affinché le persecuzioni inquisitoriali fossero meglio giustificate. A tale proposito, tra le motivazioni che si fornirono a sostegno dell’operato degli inquisitori vi era la presunta somiglianza con l’azione di Dio stesso di fronte ad Adamo dopo il peccato. Tuttavia, restava il problema delle condanne a morte, che sembrava contrastare con la predicazione di Gesù Cristo. Per giustificare ciò, il tribunale ecclesiastico consegnava il condannato al tribunale civile, chiedendo di non fare ricorso ad eccessiva durezza[16].
Divenuto inquisitore, Torquemada si prefissò come obiettivo principale quello di aumentare la rigorosità delle persecuzioni e il 29 ottobre 1484 venne promulgato il Codice dell’Inquisizione, che stabiliva un legame molto forte tra l’istituzione e la Corona spagnola[17].
Inoltre, la nomina ad inquisitore sembrerebbe strettamente legata al suo rapporto con Concepción de Saavedra, una bellissima giovane andalusa, in virtù della quale i detrattori di Torquemada lo avrebbero accusato di atteggiamenti poco consoni con il ruolo svolto. Si crede che, superati i sessant’anni, Torquemada avesse iniziato a nutrire una certa passione per la donna, la quale aveva catturato la sua attenzione già prima che diventasse inquisitore. Il sentimento non era ricambiato e l’uomo si era perciò rassegnato. Tuttavia, raggiunta la posizione di inquisitore generale, Torquemada si sarebbe interessato nuovamente alla donna, ritenendola qualcosa che gli dovesse appartenere. Dopo la morte del padre, che era un morisco, Concepción si era sposata, ma il fedele segretario inquisitoriale scoprì che il matrimonio non era stato consumato. Di conseguenza, avrebbe dato l’ordine di rapire la donna, il marito e il sacerdote che aveva celebrato il matrimonio. Rinchiusa in una stanza, Concepción riceveva le visite dell’inquisitore, il quale sarebbe arrivato a minacciare torture per lei, il marito e il sacerdote in caso di un suo rifiuto. In un primo momento, a Concepción sarebbe stato mostrato più volte lo sposo sospeso ad una corda, e poi con i polsi e le caviglie spezzati e piedi e mani bruciati, fino al cedimento della donna, pronta ad acconsentire a qualsiasi cosa pur di salvare il marito. Torquemada aveva così ottenuto il suo obbiettivo, ma dinanzi a Concepción non sarebbe riuscito a fare altro se non piangere, combattuto tra religione e desiderio[18].
Ritornando all’assunzione dell’incarico inquisitoriale, si può affermare che i primi anni non furono certamente facili: Torquemada veniva respinto dalla popolazione di Barcellona, dalle corti di Valencia e Aragona, ma, nonostante ciò, egli continuò la sua tattica di avvicinamento alle città. Organizzò il territorio in distretti e li dotò di ufficiali al servizio dell’istituzione. Altresì, decise di insediare nuovi inquisitori in nuove sedi, discusse dell’importanza dei tribunali e delle autorità locali e predicò dinanzi alla gente che lo insultava o rifiutava. Il punto di forza di tale strategia fu la capacità di dispiegare i membri delle strutture inquisitoriali, che sarebbero diventate permanenti e dotate di pochi uomini che si muovevano nelle località vicine[19].
Il 1488 è considerato l’anno di nascita del Consejo de la Suprema y General Inquisición tramite l’approvazione delle Instrucciones de Valladolid, firmate da Torquemada e da tre consiglieri. Il Consiglio era composto da segretari che esercitavano per lo più le funzioni di assistenza reale e dell’Inquisitore Generale, mentre l’aumento dei tribunali corrispose ad un incremento dei processi contro gli eretici e delle confische dei beni. Tra le funzioni della Suprema vi erano la difesa della fede e dei beni confiscati che passavano nelle mani della Corona: infatti, la maggior parte delle sanzioni imposte agli ebrei fu per lo più di carattere pecuniario, e dal momento in cui il reo era giudicato, la custodia dei suoi beni veniva garantita dal receptor di ogni tribunale, ossia un ufficiale con nomina regia[20].
Dal punto di vista burocratico e amministrativo, sotto Torquemada furono redatte istruzioni, disposizioni, missive e decreti reali. Le prime erano norme di carattere generale che regolavano giurisdizione, funzionamento e organizzazione del tribunale. In un primo momento, queste erano approvate da Torquemada in accordo con gli inquisitori distrettuali, mentre, in seguito alla creazione del Consiglio, questo fu coinvolto direttamente nel processo decisionale. Le disposizioni venivano impiegate in ambito giuridico dalla Cancelleria Reale, erano firmate da Torquemada alla presenza di due testimoni, convalidate da un notaio apostolico e contrassegnate dai sigilli di inquisitore e notaio. Di Torquemada si conoscono due disposizioni: in una incaricava il priore di Guadalupe di indagare e condannare i casi di eresia, nell’altra lo rimuoveva da tutti i suoi incarichi. Dopo il 1448, le disposizioni furono firmate dall’Inquisitore e certificate dai consiglieri dell’Inquisizione, con il sigillo del Santo Uffizio e il riconoscimento del segretario del Consiglio. Inoltre, Torquemada riuscì a creare un legame molto forte con i tribunali distrettuali per mezzo delle missive, utilizzate per comunicare con gli ufficiali dell’istituzione, per richiedere o per ottenere informazioni. Infine, il decreto reale emetteva un ordine reale: si trattava di un documento dalla struttura semplice, ben elaborato ed inviato dal segretario regio[21].
Con Torquemada come Inquisitore Generale, l’istituzione fu ben presto associata ad un naturale sentimento di paura, poiché l’obiettivo fondamentale era colpire la coscienza dei singoli, minandone le certezze:
La coscienza è la “questione privata” per eccellenza: l’ambito in cui il segreto (il “secretum”, il luogo nascosto dell’uomo) viene preservato; è il luogo inattingibile della verità, in cui ciascuno conosce se stesso. Nel momento in cui un tribunale esterno, con compiti sociali (civili o ecclesiastici non importa), pretende di “avere diritto” sulla coscienza personale, ecco che all’uomo non resta più alcun luogo segreto da preservare: egli è completamente nudo di fronte al suo avversario[22].
In particolare, la paura suscitata dall’Inquisizione era legata a tre aspetti. In primis, vi era il meccanismo del segreto, per cui l’accusato, che giurava di dire solo la verità, si trovava dinanzi al tribunale senza conoscerne le motivazioni e perciò poteva solo immaginare il perché fosse stato convocato. A ciò si aggiungeva la memoria dell’infamia per mezzo dei sanbenitos, che perpetuavano il ricordo della condanna, facendola ricadere anche sui famigliari del colpevole. Il reo molto spesso doveva indossare la tunica di pelle per tutto il corso della vita, oppure le sentenze erano appese all’interno della chiesa con i nomi dei condannati. Inoltre, a causa della dichiarazione di “inabilità” gli eretici venivano privati dei diritti civili, non potendo svolgere incarichi pubblici, e tale divieto riguardava anche i discendenti. Infine, non potendo assumere nessun tipo di incarico pubblico, erano molte le famiglie che si trovavano sull’orlo della miseria, con problemi economici non indifferenti[23].
Il “terrore” inquisitoriale si rivelò un modello di successo e perciò fu esportato nell’ambito romano della Curia papale, in virtù dell’unione tra potere politico e religioso incarnata dal tribunale. Di conseguenza, il Sant’Uffizio venne rifondato secondo tale modello e nel 1542 fu avallato dalla bolla Licet ab initio di Papa Paolo III Farnese[24]. Torquemada si sarebbe infine ritirato nel monastero di San Tommaso ad Avila nel 1493 a causa delle critiche mosse dalla Corona e dai numerosi ecclesiastici che mal tolleravano l’elevato potere da lui acquisito.
- Il pensiero di Gennadij di Novgorod sull’eresia ebraica
Le origini del movimento dei Giudaizzanti sono comunemente fatte risalire alla setta ereticale degli strigol’niki, letteralmente coloro “che tagliano i capelli” o “che portano i capelli corti”, cioè “che hanno ricevuto la tonsura[25]. Questo gruppo nacque nel XV secolo a Pskov, città anseatica e politicamente libera sottoposta agli influssi occidentali. Gli strigol’niki erano un movimento pauperista di idee razionaliste e anticlericali, contrario alla simonia e all’autorità dei concili e della Chiesa, al sacerdozio e ai sacramenti, fatta eccezione per il battesimo. Erano ritenuti fondatori due diaconi, che vennero poi uccisi per contrastare la diffusione del movimento[26]. Nonostante la brutale repressione, un secolo dopo, nella città di Novgorod prese piede una corrente ereticale che fu considerata ancora più pericolosa dalla Chiesa e nella quale confluirono gli strigol’niki. Si trattava, per l’appunto, dei Giudaizzanti, così chiamati poiché il massimo esponente del gruppo, un certo Scharija, era un karaimo, cioè un ebreo turco seguace di una setta di derivazione ebraica sorta a Baghdad agli inizi dell’VIII secolo. L’etnonimo karaimo deriva dall’ebraico e significa “colui che legge”. Infatti, i karaimi consideravano la Bibbia come l’unica fonte di verità.
In quest’inverno il gran principe Vasilij Ivanovič e il suo padre (spirituale) il metropolita Simeone, con i vescovi riuniti in concilio esaminarono la questione degli eretici e decisero che fossero messi a morte. Volk Kuricyn, Michele Konoplev ed Ivan Maksimov furono bruciati vivi il 27 dicembre; Nekras Rukavov ebbe la lingua tagliata e poi fu bruciato a Novgorod; nello stesso inverno fu bruciato Cassiano, archimandrita di Juriev, e suo fratello Ivan Cërnyj e molti altri eretici; altri furono esiliati o chiusi nei monasteri[27].
Nelle righe precedenti, sono sintetizzati alcuni dei metodi impiegati per la soppressione del movimento ereticale dei Giudaizzanti: in particolare, si tratta delle decisioni prese in seguito al Concilio del 1490, quando il metropolita Zosima richiamò apertamente i reati da loro commessi, come la profanazione della Santa Croce e delle icone dei Santi, gli insulti verso Gesù Cristo, che gli eretici si rifiutavano di chiamare figlio di Dio, e la Madonna, e la negazione della resurrezione e dell’ascensione. Alcuni avevano sparlato dei sette concili ecumenici, ed altri ancora avevano consumato cibi proibiti come latte, uova e formaggi durante la Quaresima, dando inoltre più importanza al sabato rispetto alla domenica[28].
L’artefice di tali violenze e soprusi fu l’arcivescovo di Novgorod Gennadij. Quest’ultimo arrivò a Novgorod nel 1485, ma la sua indagine relativa all’eresia dei Giudaizzanti era già iniziata anni prima. Infatti, nel 1470 l’arcivescovo aveva informato dell’arrivo, al seguito del principe di Kiev, dell’eretico responsabile dei primi crimini registrati nella città. Nel 1483 Gennadij si interessò al gruppo degli strigol’niki, mentre nel 1487 assistette ad una conversazione fra alcuni preti ubriachi a Novgorod che elogiavano segretamente l’eresia giudaica. Di conseguenza, Gennadij condusse diverse indagini a riguardo e si dedicò allo studio delle opere letterarie ebraiche con l’obiettivo di risalire all’origine dell’eresia. Quando, nel 1488, vennero condannati tre uomini dal concilio, l’arcivescovo ricevette l’incarico di procedere con ulteriori indagini. Si aprì una nuova fase di ricerca: Gennadij proibì a tutti gli eretici che non avevano confessato, o che continuavano a praticare in segreto il giudaismo, di entrare nelle chiese e ricevere la comunione, per far sì che ciò servisse da esempio per la maggioranza. Nel 1490, Zosima divenne il nuovo metropolita e l’arcivescovo sperò di ottenere il suo consenso per mettere in atto ulteriori misure repressive. Difatti, fece leva sul caso della Spagna e della purificazione del territorio realizzata dal tribunale inquisitoriale per persuadere il metropolita. Nello stesso periodo, molti esponenti della gerarchia ecclesiastica iniziarono ad accusare Gennadij di abuso di potere, ma ciò non ostacolò la sua volontà di porre freno al movimento ereticale attraverso qualsiasi tipo di strumento che si fosse rivelato necessario. Le indagini portarono l’arcivescovo ad allargare sempre più la lista di accusati, e di conseguenza ad accrescere l’opposizione già presente nei suoi confronti. Tra tutte le accuse che Gennadij presentò nei confronti dei Giudaizzanti, quella che ottenne il pieno riconoscimento del Concilio fu la santificazione da parte degli ebrei della giornata del sabato più della domenica: la visione dell’arcivescovo prevalse nella realtà dell’epoca e fu avallata dagli scritti critici verso gli eretici, come per esempio le opere di Iosif di Volokolamsk[29].
Gennadij si servì altresì della cultura, e della letteratura nello specifico, per combattere l’eresia di Novgorod-Mosca. Egli era a capo del cosiddetto “Circolo gennadiano”[30], a cui prendevano parte molti uomini colti che si dedicavano alla stesura di opere letterarie volte ad enfatizzare le tradizioni e lo status speciale della città di Novgorod. Si trattava per lo più di cronache, racconti storici, vite dei Santi, testi liturgici ed altri trattati riguardanti i problemi della società dell’epoca. Oltre alla “Bibbia gennadiana” del 1492, uno dei simboli dell’operato del circolo culturale è The Legend of the Novgorodian White Cowl, una leggenda che metteva in risalto l’unicità della chiesa di Novgorod e la supremazia della fede ortodossa della città rispetto a quella di tutte le altre città russe, Mosca compresa. Andando ad analizzarne brevemente il contenuto, la leggenda racconta del dono che Papa Silvestro ricevette a Roma dall’imperatore Costantino il grande, dopo che quest’ultimo era guarito dalla lebbra e si era convertito al Cristianesimo. Si trattava di un particolare copricapo bianco che Papa Silvestro e i suoi successori venerarono a lungo, fino a quando il suo valore iniziò ad essere trascurato da Carlo Magno e Papa Formoso. Successivamente, il copricapo fu nascosto nella parete di una chiesa romana, ma fu ordinato da Dio che venisse inviato al patriarca di Costantinopoli Filoteo, il quale lo ricevette di buon grado e decise di tenerlo con sé. Tempo dopo, il cappuccio bianco fu mandato all’arcivescovo di Novgorod a causa della previsione relativa all’imminente caduta di Costantinopoli, e divenne il simbolo della fede ortodossa, nonché tratto distintivo dell’arcivescovo della città[31].
Come si evince dalla leggenda, Novgorod sarebbe divenuta la Terza Roma in seguito alla caduta delle prime due: si credeva, infatti, che la città fosse stata scelta dalla Provvidenza per ergersi a centro religioso simbolo della Russia, con il compito di salvaguardare l’ortodossia da qualsiasi tipo di nemico. Inoltre, il copricapo bianco dell’arcivescovo di Novgorod si opponeva a quello nero caratteristico dei prelati russi dell’epoca; ma molti non davano credito al contenuto della leggenda e fra questi il metropolita di Mosca, al quale Ivan il Terribile avrebbe conferito il diritto di indossare anch’egli un copricapo bianco[32].
Un ulteriore elemento utilizzato da Gennadij nel dibattito contro i Giudazzanti era la loro differente interpretazione del millennio: per l’appunto, gli ebrei si servivano di un metodo di calcolo a partire dalla creazione del mondo che non corrispondeva a quello cristiano. Fu perciò promossa la produzione di alcuni trattati riguardanti le tavole che permettevano tale computo, al fine di stabilire le date della Pasqua, da cui derivò il nome delle tavole (paskhalia), e fornire una spiegazione circa la supposta fine del mondo al termine del millennio. Questi trattati vennero realizzati da élite di intellettuali e contenevano questioni relative all’eresia giudaizzante e alle correnti ideologiche occidentali. I principi alla base della concezione ebraica erano invece contenuti in un trattato intitolato Šestokryl, diffuso da un noto membro della setta ereticale, pop Naum, secondo i cui calcoli la paskhalia russa si collocava in un periodo distinto da quello cristiano e la fine del mondo non sarebbe avvenuta nel Settimo Millennio. Probabilmente una copia del trattato giunse nelle mani dell’arcivescovo, che si adoperò nel difendere la correttezza del computo cristiano rispetto a quello ebraico[33].
In conclusione, si può evidenziare come l’arcivescovo Gennadij, oltre alla durezza inquisitoriale, abbia fatto ricorso ad un vero e proprio strumento catechistico apologetico, attraverso la produzione e la diffusione di contenuti volti a sostenere il suo pensiero, facilmente veicolabile anche grazie all’operato di diversi traduttori e studiosi con cui egli collaborò[34].
- Conclusioni
È possibile tracciare un parallelo tra la figura dell’inquisitore spagnolo Tomás de Torquemada e quella dell’arcivescovo di Novgorod Gennadij. Entrambi, oltre all’utilizzo di metodi efferati, hanno diffuso il proprio pensiero attraverso lo strumento iconografico nel primo caso, e letterario nel secondo, cercando di ottenere in tal modo il consenso da parte della maggioranza. Tuttavia, se nel caso dell’Inquisizione spagnola, la condanna e la repressione furono metodi istituzionalmente riconosciuti, nel caso russo l’obiettivo dell’arcivescovo non si realizzò in maniera effettiva: la setta non scomparve mai definitivamente, soprattutto poiché all’interno della gerarchia ecclesiastica vi erano diversi simpatizzanti del movimento. Lo stesso metropolita Zosima sarebbe stato accusato di essere Giudaizzante, vedendosi costretto a rinunciare al suo incarico[35].
Per quanto concerne invece la vita del Tribunale, si dovettero attendere l’Illuminismo e la Rivoluzione francese per assistere all’emergere di un dibattito sulla soppressione dell’Inquisizione, che vide coinvolti laici, ecclesiastici, cattolici, protestanti ed intellettuali. Secondo il teologo illuminato Henri-Baptiste Grégoire, l’Inquisizione aveva tradito profondamente i precetti evangelici, infliggendo non solo violenza fisica, ma anche psicologica[36], e a ciò si aggiungevano la paura, l’ipocrisia e gli odi nazionali che il tribunale aveva fomentato, portando a divisioni familiari e alla separazione fra i popoli. Si trattava di valori distanti anni luce dal Vangelo, che indicava il ricorso alla persuasione e alla dolcezza come unici strumenti in grado di allontanare gli uomini dal male. Insomma, non era più possibile rimanere indifferenti: principi quali la fratellanza universale e i diritti delle genti erano i punti cardine da garantire e difendere[37].
[in Tra genti latine e radici greche. Omaggio a Gino Giovanni Chirizzi per i suoi 80 anni, a cura di Mario Spedicato e Carlo Miglietta, Soc. Storia Patria Puglia sezione di Lecce, Castiglione, Giorgiani Editore, 2024]
NOTE
[1] J. A. B. Díez, Judíos y conversos en Castilla, in «Proserpina: revista de la Universidad Nacional de Educación a Distancia», n. 5, 1986, p. 58.
[2] A. B. Martínez, Razones y consecuencias de una decisión controvertida: la expulsión de los judíos de España en 1492, in «Kalakorikos: Revista para el estudio, defensa, protección y divulgación del patrimonio histórico, artístico y cultural de Calahorra y su entorno», n. 10, 2005, pp. 8-26.
[3] Torquemada era nato ad Avila intorno al 1420 e da giovane fu predicatore del convento di San Paolo a Valladolid con il nome di Tommaso, in onore del santo domenicano e filosofo D’Aquino. Torquemada era figlio di conversos che erano stati costretti al battesimo durante le persecuzioni del 1391. Fin da subito, egli abbracciò una rigida riforma dell’Ordine e, dopo essere stato priore del convento di Santa Cruz a Segovia, fu confessore di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Cfr. N. Benazzi, M. D’Amico, Il Libro nero dell’Inquisizione. La ricostruzione dei grandi processi, Casale Monferrato (AL), Edizioni Piemme Spa., 1998, pp. 98-99.
[4] N. Benazzi, M. D’Amico, Il Libro nero dell’Inquisizione…, cit., p. 95.
[5] Ivi, pp. 98-99.
[6] Ivi, p. 101.
[7] Ivi, pp. 100-102.
[8] Ivi, pp. 102-104.
[9] S. C. Escamilla, Los santos dominicos y la propaganda inquisitorial en el convento de Santo Tomás de Ávila, in «Anuario de Estudios Medievales», n. 39, 2009, p. 363.
[10] Ivi, p. 358.
[11] S. C. Escamilla, Fray Tomás de Torquemada, iconógrafo y promotor de las artes, in «Archivo español de arte», n. 82, 2009, p. 24.
[13] Ivi, p. 28.
[14] Ivi, p. 32.
[15] Ivi, pp. 33-34.
[16] N. Benazzi, M. D’Amico, Il Libro nero dell’Inquisizione…, cit., pp. 132-133.
[18] Ivi, pp. 110-113.
[19] Ivi, pp. 118-119.
[20] J. J. M. Barba, Documentación institucional del Consejo de Inquisición en tiempos de Torquemada, in «Documenta & Instrumenta», n. 18, 2020, pp. 193-197.
[21] Ivi, pp. 197-216.
[22] N. Benazzi, M. D’Amico, Il Libro nero dell’Inquisizione…, cit., pp. 125-126.
[23] Ivi, pp. 128-129.
[24] Ivi, p. 135.
[25] G. Codevilla, Eresie, povertà e potere nel monachesimo russo alla fine del XV secolo e all’inizio del XVI. Stato, Chiese e pluralismo confessionale, in «Rivista telematica (www.statoechiese.it)», n. 13, 2013, p. 2.
[26] Ibidem
[27] G. P. Cioffari, Storia della teologia russa. Dall’XI al XIX secolo, p. 47, in https://www.academia.edu/45369686/STORIA_DELLA_TEOLOGIA_RUSSA_I_Dalla_Rus_di_Kiev_al_secolo_XIX [consultato in data 27 marzo 2022].
[28] Ibidem
[29] A. Pliguzov, Archbishop Gennadii and the Heresy of the ‘Judaizers’, in «Harvard Ukrainian Studies», n. 16, 1992, p. 269-281.
[30] E. Matsuki, Novgorodian Travelers to the Mediterranean World in the Middle Ages, in «Studies in the Mediterranean World, Past and Present», n. 11, 1988, p. 17.
[32] Ivi, pp. 18-19.
[33] M. C. Olea, Los tratados sobre las Paskhalias y la Controversia del Séptimo Milenio en la Rusia Moscovita: Interpretación y contextualización1/The treaties on Paskhalia and the seventh millenium controversy in Muscovy: Context and interpretation, in «Ilu, Revista de Ciencias de las Religiones», n. 16, 2011, pp. 83-84.
[34] G. P. Cioffari, Breve storia della teologia russa…, cit., p. 48.
[35] M. C. Olea, Los tratados sobre las Paskhalias…,cit., p. 86.
[36] R. Cancilla, Per la storia della tolleranza in Europa: il dibattito settecentesco sulla soppressione dell’Inquisizione spagnola, in “Mediterranea Ricerche storiche”, n. 7, 2010, p. 587.
[37] Nel 1808 le attività inquisitoriali si conclusero con l’intervento francese e la caduta della monarchia spagnola: Giuseppe Bonaparte ne annunciò la soppressione e l’allora inquisitore generale, José Arce Reinoso, rinunciò al suo incarico. L’Inquisizione venne soppressa e autorizzata più volte, fino a quando non fu abolita in maniera definitiva il 15 luglio 1834.