Il laureato, Totò e il Sessantotto che cambiò ogni cosa

di Antonio Errico

Quando una sera d’inverno che hai diciott’anni esci dal cinema gelido di un paese di provincia dopo aver visto, per non saper che fare, “Il laureato”, non sai più distinguere se il mondo reale sia quello con Benjamin Braddock,  la signora Robinson, Elaine e l’ Alfa Romeo duetto rossa che ancora ti sfavilla dentro gli occhi, o se sia la piazza sotto la nebbia soffice accarezzata dalla luce giallastra dei lampioni. Dalla provincia tutto si vede estremamente vicino ed estremamente lontano, allo stesso tempo. E’ tutto vero e tutto falso, tutto bello e tutto brutto, allo stesso tempo. Dalla provincia il mondo ondeggia come il paesaggio liquido di un sogno. La provincia un poco ti ripara e un poco ti esilia. Così te ne vai  verso casa, con il bavero rialzato e le mani affondate nelle tasche, batti i piedi per allontanare il randagio che ti abbaia e ti gira intorno, e voltandoti indietro rivedi in lontananza Anne Bancroft e Dustin Hoffman e Katharine Ross, rivedi la corsa disperata sull’ Alfa Romeo, ti ritorna la fuga in autobus e non riesci, non vuoi toglierti dalla testa le canzoni del film, soprattutto “The Sound of Silence”, di cui non capisci le parole perché non hai studiato l’inglese ma che ti avvolge nei giri di chitarra.

“Il laureato” uscì negli Stati Uniti nel Sessantasette con la regia di Mike Nichols, tratto dal romanzo di Charles Webb.

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