Incontri con Vincenzo Consolo (seconda parte)

Da sin. Maria Teresa Pano, Gianni Turchetta e Antonio Lucio Giannone (Libreria Liberrima di Lecce,
20 aprile 2016).

Nel saggio introduttivo, dal titolo Da un luogo bellissimo e tremendo, che si può considerare una guida indispensabile alla lettura  di Consolo, Turchetta  all’inizio cerca di caratterizzare la sua opera mettendo in rilievo alcuni punti che si possono così sintetizzare: 1) il rapporto tra le parole e le cose, per cui le parole tendono a superare i loro stessi limiti e ad acquisire una nuova consistenza di cose. Da qui la tensione costante, il rigore assoluto della scrittura di Consolo, la sua densità, la sua eticità (coincidenza di espressività ed eticità); 2) le strategie linguistiche dello scrittore, il suo rifiuto della lingua della comunicazione, dell’uso quotidiano e l’adozione di una varietà di lessici, di registri, di toni che danno vita alla sua caratteristica polifonia. Il plurilinguismo di Consolo comprende i dialetti, le lingue classiche, le lingue straniere, i lessici speciali. Alla pluralità lessicale si intreccia una pluralità dei registri stilistici, di voci. Da qui la polifonia, la molteplicità di prospettive, di punti di vista  da cui viene rappresentata la realtà; 3) la tendenza alla poeticizzazione della prosa, come pure all’oralità, alla pronuncia fisica; 4) la ricchezza dei rimandi intertestuali e di riferimenti figurativi e musicali; 5) il rifiuto delle categorie tradizionali dei generi e la tendenza verso la contaminazione di essi.

Poi il critico passa in rassegna le varie opere si Consolo esaminandole accuratamente. Incomincia con La ferita dell’aprile (1963) che rientra nel genere del romanzo di formazione dove già è evidente la ricchezza plurilinguistica. Poi prende in esame il Sorriso (1976) che definisce “uno dei grandi romanzi della letteratura italiana del secondo Novecento”. Esso riprende la tradizione del romanzo storico manzoniano, ponendo al centro dell’attenzione la realtà della gente comune, ma mette in discussione lo stesso genere del romanzo storico e, più in generale, del romanzo. Su quest’opera Turchetta si sofferma ampiamente, mettendo in rilievo, fra l’altro, il problema centrale del rapporto tra potere e scrittura e il tentativo di rappresentare anche la realtà della gente umile attraverso la polifonia delle voci, gli inserti documentari, saggistici presenti in essa.

Lunaria (1985) e Retablo (1987) sono opere sperimentali rispetto al romanzo, quasi dei divertissement. In Lunaria c’è una dimensione parodica e comica, una pluralità di registri, di generi (“favola teatrale” ma anche “conte philosophique”). In Retablo, che è costruito come una narrazione di viaggio, è centrale il tema dell’amore ma anche il rapporto arte-vita. Ancora, in Le pietre di Pantalica (1988), che presenta una varietà di registri e lessici, anche lo stile è più piano e referenziale rispetto al Sorriso.

Nottetempo, casa per casa (1992) costituisce il secondo tempo di una trilogia dedicata a momenti problematici e cruciali della storia italiana: il Risorgimento nel Sorriso, l’avvento del fascismo in Nottetempo, la collusione tra mafia e potere politico in Lo spasimo di Palermo (1998). Qui c’è un ritorno al romanzo storico che però convive con una accentuazione delle componenti lirico-simboliche. Esse sono ancora più evidenti in quest’ultima opera che da un punto di vista formale segna l’inizio di una fase nuova. Anche il plurilinguismo dei romanzi precedenti vira qui verso un “tendenziale monolinguismo”.

L’olivo e l’olivastro (1994) è il racconto di un viaggio in Sicilia che è anche il pretesto del confronto tra l’ambiente degradato del presente e quello mitico di Ulisse, con cui l’autore si identifica in quanto privo di patria e quindi in preda al rimorso, e di tante altre figure della storia letteraria e artistica. Anche qui ci troviamo di fronte a un’opera che non è un romanzo ma è sospesa a metà strada tra lirismo e saggistica. Lo spasimo di Palermo, infine, salda la narratività di Nottetempo con le componenti storico-erudite di L’olivo e l’olivastro, alla ricerca di un nuovo stile tragico. Il Meridiano è concluso da Di qua dal faro (1999) che è un libro di saggi dedicati ad alcuni luoghi, paesaggi, tradizioni della Sicilia e ad alcuni grandi scrittori come Verga, Pirandello, Tomasi di Lampedusa.

A sua volta, Segre traccia un sintetico ma denso profilo di Consolo, da lui giudicato “il maggiore scrittore della sia generazione”, prendendo in esame rapidamente le sue opere e soffermandosi in particolare su un confronto tra Il Gattopardo e il  Sorriso, Tra questi due romanzi mette in rilievo alcune divergenze: 1) romanzo storico con un narrare onnisciente vs antiromanzo romanzo-saggio dove la narrazione si intreccia ai fatti storici riportati attraverso documenti e brani storici: 2) monolinguismo vs plurilinguismo, classicismo vs espressionismo; 3) univocità vs plurivocità. Individua nella chiocciola la metafora della costruzione formale e verbale del Sorriso, ma anche degli altri romanzi di Consolo.

Dopo Turchetta, come ho detto, invitai Irene Romera Pintor, docente di Filologia italiana presso l’Università di Valencia, la quale tenne due seminari su Consolo il 16 marzo del 2017 sempre presso l’ex Monastero degli Olivetani. Uno era dedicato al Sorriso, mentre l’altro era intitolato “Rileggere Consolo in altre lingue”.

L’anno successivo, l’1 e il 2 marzo, Romera Pintor e il collega Juan Carlos de Miguel organizzarono due Giornate internazionali di studio presso l’Università di Valencia, alle quali mi invitarono a partecipare. Nella prima, intitolata  “Vittorio Bodini  fra Italia e Spagna”, tenni una relazione sull’inedito Quaderno Verde di Bodini. Nella seconda Giornata, dal titolo “España e Italia: el Siglo XX”, dedicata in buona parte a Consolo, presentai il volumetto Autobiografia della lingua, una lunga intervista realizzata dalla studiosa spagnola con lo scrittore siciliano (Bologna 2016), che costituisce un’ideale premessa allo studio della sua opera. Essa, infatti, contiene in sintesi tutto Consolo: la sua vita, la sua poetica, cioè le sue idee sulla lingua innanzitutto, sulla letteratura, sulla società, sempre strettamente collegate fra loro. Chi conosce lo scrittore ritrova qui la sua personalità, la sua precisa scelta di campo, non solo di tipo estetico, ma appunto etico e politico, e quindi la concezione della lingua come di un “codice che rappresenti anche le periferie della società”, l’opposizione alla “lingua del potere”, il “dovere della memoria”.  Per quanto riguarda il Sorriso, in esso – chiarisce l’autore nell’intervista ‒ cerca di raccontare il 1860, cioè il tema dell’Unità d’Italia, “con gli occhi degli emarginati, dei contadini, autori di una rivolta popolare e di una strage, e poi condannati e fucilati”.


Presentazione di Autobiografia della lingua. Antonio Lucio Giannone è con Irene Romera Pintor all’Università di Valencia (2 marzo 2018).

Inoltre si ritrovano i personaggi che per lui hanno contato di più: Leonardo Sciascia, il poeta Lucio Piccolo, l’anarchico Nino Pino Ballotta, professore dell’Università di Messina e poeta dialettale Non manca nemmeno il riferimento alla “linea sperimentale” che parte, secondo Consolo, da Dante e arriva fino a Gadda e Pasolini. “Io mi sono immesso ‒ sostiene lo scrittore ‒ in questa linea sperimentale, cioè l’impasto linguistico o plurivocità o polifonia, come si suol dire, percorrendo una linea assolutamente speculare a quella di un codice comune di tipo razionalistico”.

Sempre nel 2018 uscirono gli Atti della seconda Giornata del Convegno curati dalla stessa Romera Pintor con la Fundación Updea Publicaciones di Madrid, dove figurano vari interventi su Consolo.

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