di Paolo Vincenti
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Da vecchi cassetti polverosi salta fuori una mia fototessera scattata in una cabina londinese in un viaggio di troppi anni fa. Ero poco più che un adolescente alla scoperta del mondo e infatti il mio sguardo allucinato, nello scolorito reperto, testimonia tutto lo sconcerto misto all’entusiasmo di trovarsi nella megalopoli inglese. Del resto, avevo appena diciott’anni e di viaggi, fino ad allora, ne avevo fatti molto meno dei miraggi. Roma in gita scolastica di terza media, forse qualche Zoo Safari di Fasano e Grotte di Castellana o al massimo sassi di Matera, e Budapest alla gita dell’ultimo anno di liceo. Poca roba, proprio il minimo sindacale, davvero miseri viaggetti. Appena in culla, i miei figli ne avevano già fatti di più.
Comunque la fototessera, definita la madre di tutti i selfie, è ormai un residuato bellico. Oggi, le vecchie polverose cabine, un tempo note come Photomaton, divenute digitali e high tech, sono gestite da un’azienda italiana, la Dedem, di Ariccia (Roma), che produce e distribuisce le macchinette in tutta Europa e nel mondo. Le foto vengono inviate dal telefonino e stampate direttamente dalla cabina in pochi secondi (contro i tre minuti che ci impiegavano quando le utilizzavamo noi boomers), con grande comodità e utilità. Ora, saranno le foto high tech più belle rispetto alle vecchie foto analogiche? O non reggono il confronto? Probabilmente ognuno risponderà in base all’anagrafe. I ragazzini della generazione zeta si faranno una risata già alla domanda. I più stagionati come me saranno nel dubbio fra la morsa della analogica nostalgia e l’innegabile efficienza e la maggiore praticità del digitale. Gli amatori, i collezionisti e i cacciatori di memorabilia si pronunceranno certo a favore delle foto analogiche per quel romantico sapore di vintage. Io credo che non si possa fare un confronto fra le vecchie ingiallite foto e quelle scattate dallo smartphone. Si tratta di categorie del tutto diverse. Le fototessera poi, occupano un settore di nicchia, certo meno battuto rispetto a quello più vasto delle fotografie propriamente dette e a quello artistico delle foto d’autore. Ogni fotografia è un oggetto di senso, generato dal rapporto fra l’occhio e la mente, secondo la prospettiva semiotica di Jean-Marie Floch, ossia istituisce un rapporto di scambio fra fotografo e fotografato. La foto d’arte ha come valore aggiunto una plurisemanticità del messaggio visivo. Invece, la fototessera non è dinamica, in essa non c’è mediazione umana, men che meno artistica, e si rinuncia a qualsiasi montaggio o interpolazione da parte di un operatore che ci scatti una fotoritratto. Non a caso, la fototessera è utilizzata quasi esclusivamente per scopi istituzionali (carta d’identità, patente, passaporto), attiene quindi a quell’ambito così poco creativo che è la burocrazia nelle cui maglie tutti siamo attanagliati ogni giorno. Una volta però, e la mia foto londinese è lì a confermarlo, essa poteva avere anche uno scopo ludico, senza alcuna utilità pratica.