1) L’Italia è diventata il Paese più dualistico dell’Eurozona, per persistenza e rilevanza quantitativa dei divari regionali del Pil pro capite. Banca d’Italia rileva che il rapporto fra Pil pro capite del Sud e Pil pro capite del Nord si è ridotto dal 68% nel 1975 all’attuale 55%, con 13 punti percentuali di divergenza addizionale in tre decenni.
2) La nostra economia ha sperimentato una significativa riduzione del tasso di crescita, passando da un valore medio dell’8% nel ventennio 1950-1970 all’attuale 0.6% su base annua. L’Italia ha anche raggiunto, con Stati Uniti e Regno Unito, il primato del Paese con le maggiori diseguaglianze distributive e quello con la minore mobilità sociale.
La linea di politica economica dominante negli ultimi decenni asseconda, nel Mezzogiorno, una specializzazione produttiva basata su settori a basso valore aggiunto (turismo in primo luogo), ponendo in secondo piano le potenzialità che la macro-area esprime, in particolare, in settori che hanno maggiori potenzialità di crescita della produttività del lavoro. Ci si riferisce, in particolare, alla produzione di energie rinnovabili e alla portualità. Con riferimento a quest’ultimo caso, si può considerare che gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da un forte disinvestimento dello Stato nel potenziamento delle infrastrutture materiali al Sud e che i finanziamenti attualmente disponibili – pressoché esclusivamente quelli stanziati dal PNRR – stentano a trovare realizzazione in nuove opere pubbliche a ragione dei ritardi di attuazione del Piano.
Recenti ricerche storiche (S. Romeo, La parabola delle aree portuali-industriali in Italia. Una prospettiva storica, “Italia contemporanea”, agosto 2024) hanno dimostrato che lo sviluppo dell’economia italiana – povera di materie prime – è stato in larga misura trainato dall’esistenza e dalla crescita delle aree portuali-industriali, che hanno consentito di movimentare fattori produttivi, a partire soprattutto dai decenni fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con la formazione dei moderni porti industriali. L’effetto dell’investimento su trasporti e logistica sul tasso di crescita è intuitivo ed è stato teorizzato fin dalla prima rivoluzione industriale. Per Adam Smith – siamo nel 1776 – un sistema di trasporti efficiente è una pre-condizione cruciale per la crescita della domanda e, per conseguenza, dell’aumento del grado di divisione del lavoro e dello sviluppo economico. È altrettanto evidente che il potenziamento del sistema dei trasporti ha effetti positivi sull’occupazione, sulla sua qualità, sulla ricerca scientifica e l’innovazione.
SRM – uno dei principali Istituti di ricerca sulla portualità meridionale – rileva un aumento del commercio marittimo globale (pure a fronte degli attacchi degli Houthi alle navi del Mar Rosso) pari, nell’ultimo anno, al 2.2% e stima prospettive di crescita degli scambi commerciali via mare nell’ordine del 2.6% al 2025. La portualità meridionale gestisce circa il 25% dei traffici commerciali su scala mondiale (Mims, Investimenti e riforme del PNRR per la portualità, Roma, 2022). Il valore del rapporto fra traffici e Pil, in Italia, nel periodo 1996-2020 è passato dal 39% al 58% in termini reali.
A questa evidenza si può aggiungere la previsione di crescita delle principali aree con le quali l’Italia ha rapporti commerciali che transitano per il Mediterraneo. Ci si riferisce alle rilevanti potenzialità di crescita dell’Africa e quelle dell’Asia orientale. L’African economic outlook dell’African Development Bank Group del 2024 certifica un aumento del tasso di crescita di quel continente del 3.7% nel 2024 e del 4.3 nel 2025.
L’esperienza storica insegna che il potenziamento delle reti di trasporto traina la crescita e costituisce una regolarità storica il fatto che l’economia italiana cresce quando cresce quella del Mezzogiorno. Per contro, la politica economica nazionale disinveste da decenni nella logistica e nella dotazione infrastrutturale del Paese, con forti divergenze regionali e accentramento al Nord degli investimenti nel settore. Delle otto regioni del Mezzogiorno, solo la Campania è collocata fra le prime 100 regioni europee (su 233 nell’Europa a 27) per il valore del suo indice di competitività infrastrutturale, stando al Rapporto Svimez del 2023.
Il prolungato e crescente disinvestimento in un settore – la portualità, in particolare meridionale – che per i principali istituti di ricerca specializzati potrebbe contribuire in modo significativo alla crescita economica del Paese, generando elevati effetti moltiplicativi, costituisce un chiaro esempio di errore di politica economica. Si tratta di un errore dal momento che – come è accaduto in Europa e ancor più in Italia (e in Grecia) negli anni della crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona (2010-2013) – la compressione degli investimenti pubblici in fasi di bassa crescita attiva una spirale perversa fatta di riduzione della domanda interna, di coseguente calo del gettito fiscale, di compressione della crescita economica e, in definitiva, di aumento del rapporto debito pubblico/Pil, determinando i risultati (di segno negativo) esattamente opposti rispetto a quelli che si dichiara di voler ottenere.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 13 novembre 2024]