Meritoriamente, la televisione si diede un obiettivo strategico di enorme rilevanza sociale: favorire la crescita del livello culturale del paese con trasmissioni ben organizzate e adeguate alle condizioni culturali della maggioranza. Non volgarità e pettegolezzi (come molta televisione dei nostri giorni), ma anche cultura e informazione seria. Nacque Telescuola, lezioni scolastiche tenute da insegnanti a una classe di studenti ospitata nello studio televisivo; lezioni a volte un po’ noiose e poco efficaci sul piano comunicativo e didattico.
Nell’offerta culturale televisiva si puntò anche all’insegnamento della lingua italiana, strumento formidabile per favorire il progresso sociale delle classi economicamente svantaggiate. Al provino per scegliere un insegnante in grado di rivolgersi a un pubblico di adulti analfabeti si presentò Manzi, maestro elementare a Roma. Come lui stesso ebbe a raccontare in seguito, quasi senza averlo previsto, inventò al momento la modalità con la quale impostare la lezione di prova: anziché «recitare» il testo di una lezione che gli avevano assegnato, scelse di fare di testa sua, quella volta e le altre successive. Usava grandi fogli di carta, su cui disegnava e scriveva con un carboncino. A partire dalle figure appena schizzate imbastiva il testo della lezione. I segni tracciati dalla mano «animavano» il contenuto della lezione e si fondevano con la voce pacata e rassicurante. Spiegò dopo: «La televisione è fatta di immagini in movimento per cui, se io sto fermo 20 minuti a parlare, addormento tutti». La soluzione fu il disegno e le piccole scritte di accompagnamento: bastava schizzare qualcosa, chi stava a guardare era incuriosito dal disegno che via via prendeva forma.
Non è dato sapere quanti siano stati effettivamente gli adulti che hanno preso la licenza elementare attraverso i corsi di Non è mai troppo tardi: cifre ragionevoli indicano tra uno e due milioni i nuovi alfabetizzati, contadini e operai rientrati dal lavoro, casalinghe, pensionati che non erano mai andati a scuola; anche molti bambini trovavano suggestive le lezioni di quel maestro. Manzi non era semplicemente un buon insegnante di scuola prestato alla televisione, dimostrava di saper fare televisione con le proprie qualità didattiche e comunicative. Nelle sue lezioni televisive, a seconda dell’argomento trattato, Manzi utilizzava fotografie e filmati, invitava di tanto in tanto un ospite famoso, usava espedienti in grado di animare la didattica, come la lavagna luminosa su cui scrivere e disegnare. A volte studenti molto anziani erano con lui (e venivano trattati con il «lei»), davano prova, concretamente, dei risultati che erano stati capaci di ottenere.
Terminata l’esperienza di Non è mai troppo tardi, durata nove anni, Manzi tornò a fare il maestro elementare presso la scuola «Fratelli Bandiera» di Roma. Senza grandi clamori. Ma la sua immagine rimarrà per sempre legata a quel programma: una sorta di icona consegnata alla storia della nostra tv. Grazie a lui, grazie a tanti maestri e maestre meno famosi, grazie alla scuola pubblica che la politica e le classi dirigenti degli ultimi decenni ignorano o bistrattano, il popolo italiano ha conquistato l’alfabeto e un po’ di istruzione: con il possesso della lingua anche i poveri, non più solo i benestanti e i privilegiati, hanno avuto la possibilità di affrancarsi (a prezzo di sforzi e con fatica) dalle secolari condizioni di ignoranza e di sfruttamento, di non essere più solo servi della gleba.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 15 novembre 2024]