Le vicende dell’archeologia a Ruvo si intrecciano in modo indissolubile con quelle della famiglia Jatta, i cui membri riuscirono a conservare il nucleo della collezione, nonostante le pressioni che giungevano, anche a livello politico, dal collezionismo europeo. Nel 1836 Giuseppe Sanchez, colto bibliotecario del Real Museo Borbonico, così scriveva di Ruvo, riferendosi alle migliaia di vasi dipinti ivi rinvenuti: «…questo immenso gemmaio fa certamente conoscere che Ruvo appula, fu la metropoli di ampia e ricca contrada, e sede delle arti appule.». E tale era la fama di questi ritrovamenti che l’agente del Granduca di Baden, Friedrich Maler, nel 1837 ideò per la cittadina l’espressione «Die Vasenland (la terra dei vasi)», certo pensando alla più celebre espressione di Goethe sull’Italia «Kennst du das Land wo die Zitronen blühn? (Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni?)».
Ora il volume presenta, attraverso vari saggi, una vasta messa a punto delle conoscenze su questo centro così particolare della Puglia antica: dalla ricostruzione del contesto territoriale al tentativo di lettura dell’insediamento. Qui tuttavia l’abbondanza dei ritrovamenti e lo scavo che nell’Ottocento ignorava il metodo stratigrafico, creano una vera cortina fumogena che impedisce di comprendere come gli abitanti di Rubi vivessero nel quotidiano e organizzassero spazi pubblici e privati, onorassero le loro divinità, si difendessero dai nemici. Ma la ricerca spasmodica degli oggetti impedisce anche di ricostruire con quali rituali essi conservassero la memoria dei loro morti. Purtroppo un simile approccio non si è mai arrestato se pensiamo agli scavi, soltanto qualche anno fa, di altre necropoli della Peucezia come quella di Rutigliano. Il nucleo centrale del volume è rappresentato dal racconto delle frenetica attività di sterro che procurarono, nel primo trentennio dell’Ottocento, migliaia di reperti raccolti da Giovanni Jatta, giureconsulto residente a Napoli, e Giulio, militare che era rimasto in Puglia. Nel 1842 fu costruito il Palazzo che ospitò le raccolte e che oggi è sede del Museo Archeologico Nazionale dove le collezioni sono presentate rispettando i criteri dell’allestimento ottocentesco, uno dei luoghi maggiori del patrimonio archeologico della nostra regione, intorno all’eccezionale cratere attico del V sec. a.C., con la figura di Talos, il gigante di bronzo posto a difesa dell’isola di Creta, archetipo dei robot androidi di oggi.
La «terra dei vasi» attirava gli interessi dei potenti collezionisti europei come il duca di Blacas, ambasciatore dei re di Francia, calato a Ruvo per acquistare vasi preziosi. Era evidentemente soddisfatto del raccolto tanto da scrivere a un suo amico che il Regno di Napoli «sta in tanta povertà, e miseria, che facendo un viaggio per le Province, acquisterà per niente quante antichità vuole». E i contributi del libro offrono un quadro dell’attuale collocazione di questi preziosi oggetti che, da Ruvo, partivano in tutta Europa; fortunatamente molti sono conservati nel Museo di Napoli, grazie all’opera della «Commissione de’ Scavamenti di Ruvo», istituita dal re Ferdinando II di Borbone al fine di vigilare sugli scavi e selezionare i pezzi più importanti da immettere nel Real Museo Borbonico. Ma altri vasi raggiunsero Parigi, Monaco, Copenhagen, sino all’Hermitage di San Pietroburgo; infine le ceramiche figurate raccolte, sempre a Ruvo, dalla famiglia Caputi furono acquisite, alla fine del secolo scorso, da Banca Intesa Sanpaolo e oggi sono esposti a Napoli, presso la Galleria d’Italia.
Dopo l’incontro parigino del 2017, oggetto del presente volume, le vicende dell’archeologia in età borbonica sono state oggetto di ricerche sistematiche condotte da giovani studiosi che hanno già prodotto un bellissimo volume dedicato alle province di Napoli e Terra di Lavoro. Infine proprio un anno fa, a Bari si è svolto un Convegno Internazionale, curato da Luca Di Franco, Gianluca Mastrocinque e Francesca Mermati, dedicato agli scavi archeologici in Puglia sotto i Borbone; l’Incontro ha prodotto un significativo aggiornamento e ampliamento delle conoscenze, in particolare grazie alle sistematiche indagini di Archivio, come quelle condotte da Andrea Milanese presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Dalla pubblicazione di quei lavori attendiamo ora una aggiornata ricostruzione del contesto storico e culturale che fa da sfondo alle vicende dell’archeologia di Ruvo, eccezionale «Vasenland» dell’Italia antica.
[“La Repubblica – Bari” del 13 novembre 2024]