Ipocrisia linguistica

  1. La ‘difesa dei confini’. Con questa espressione ci si riferisce alla prassi che mira ad impedire agli immigrati irregolari (clandestini) di entrare in Italia ed alla loro conseguente espulsione. La prassi è giustificata dalla introduzione, nel nostro ordinamento giuridico, del reato di ‘immigrazione clandestina’, fatta nella legge Bossi-Fini. Pur in presenza di un fenomeno così complesso (e così generale) come la migrazione, che avrebbe bisogno di un esame molto articolato, l’introduzione della casistica giuridica appena citata ha una sua giustificazione. Non ha alcuna giustificazione lo slittamento linguistico per cui lo stesso fenomeno viene qualificato come ‘difesa dei confini’. L’espressione presuppone una ‘invasione’ militare rispetto alla quale è necessario predisporre una ‘difesa’. Il pensiero corre subito alla foto in cui le truppe tedesche il 1° settembre 1939 sollevano materialmente le transenne del confine polacco per iniziare la loro invasione. Quella sì richiede sul serio una ‘difesa’. Ma che ‘invasione’ mai è quella di migranti che varcano il mare su imbarcazioni precarie (tant’è vero che spesso affondano), vengono soccorsi in mare e arrivano disarmati sulle nostre coste e scendono dalle navi di soccorso in stanche e spossate processioni? Si tratta, come è evidente, di una ipocrita finzione linguistica con la quale si vuole dare all’atto del respingimento dei migranti una connotazione eroica, pari a quella dei soldati che in guerra difendono veramente i confini della patria. Non sarebbe più onesto chiamare le cose con il loro nome: respingimento degli immigrati?
  2. ‘Trafficanti (tratta) di esseri umani’. La terminologia è associata strettamente a quella della ‘difesa dei confini’. Se l’arrivo degli immigrati è una ‘invasione’, allora quelli che favoriscono questa prassi sono dei nemici. Il nome con cui di solito essi vengono designati è ‘scafisti’. Ma questo nome è, possiamo dire, piuttosto neutro, in quanto si imita a indicare il mezzo che essi mettono a disposizione per la traversata del mare: lo scafo, oltretutto una sineddoche che oscura il senso del mezzo marino utilizzato. Invece la denominazione di “trafficante di essere umani”, e di “tratta” per l’operazione connessa, evoca subito il ricordo dei trafficanti di schiavi che nell’Ottocento rapivano uomini dall’Africa per portarli in America, dove erano destinati a servire come schiavi. La sovrapposizione di questa immagine alla parola “trafficante” rende particolarmente odiosa la figura dello scafista perché gli associa l’idea della violenza e della sopraffazione. Ma si tratta di una implicazione non corretta. Il trafficante di schiavi ‘rapiva’ con violenza gli africani e li ‘costringeva’ a forza a compiere il viaggio. Lo scafista non ‘costringe’ i migranti a migrare, ma potremmo dire che offre loro un servizio nel senso che soddisfa una loro richiesta (quella di essere trasportati in Europa), anche se in condizioni non sempre agevoli e confortevoli (per usare un eufemismo). Ciò non fa certo dello ‘scafista’ un soggetto raccomandabile. Ma la nozione di ‘trafficante’ sposta l’attenzione dal momento originario dell’emigrazione al momento del passaggio attraverso il mare. Quello che non si vuole ammettere è che i migranti non vengono in Europa per una ‘invasione’, ma per trovare migliori condizioni di vita e che sono disposti a pagare cifre esose ed a correre consapevolmente i pericoli del mare pur di raggiungere quella che per loro è la terra promessa. Anche in questo caso la denominazione è una ipocrisia linguistica che, con evidente esagerazione, vuole solo demonizzare l’oggetto designato per esporlo alla riprovazione.

Come si diceva sopra, l’immigrazione è un fenomeno complesso e, purtroppo, globale e, come tale, dovrebbe essere affrontato globalmente. Le soluzioni parziali non lo risolvono perché esso trova fondamento negli squilibri economico-sociali che vi sono a livello mondiale e che vengono conosciuti dappertutto a causa dei mezzi di comunicazione di massa che sono stati introdotti dalla nostra civiltà. L’unica soluzione è quella di colmare gli squilibri e permettere alla popolazione mondiale di vivere tutta quanta in una accettabile prosperità.

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