I rosoni della Basilica di S. Antonio di Padova: storia e restauri

Rosone Nord.

     Nel 1864 la presidenza dell’Arca “vuol fare eseguire il finestrone del lato di tramontana, in sostituzione di quello tuttora esistente per vetustà non più servibile […]. Chiamò quindi a Padova Michelangelo fu Benedetto Ferrari e Marco Pellegrini, lavoratori in marmo ai quali fece vedere un disegno e poi esaminare il finestrone sul posto. Il rosone era stato realizzato in pietra di Nanto, materiale che per la sua porosità e scarsa resistenza alle intemperie, male si adattava ad opere esterne. Si diede l’incarico alla loro ditta di Sant’Ambrogio di Valpolicella che si impegnò a ricostruirlo con marmo Nambro rosato delle cave di S. Ambrogio di Verona.  La ditta assunse l’impegno di fornire i vetri con dipinti fiori e petali, eseguiti dalla rinomata ditta Alberto Neuhauser di Innsbruck1. Il 6 giugno 1865 così si esprimeva: “Il sottoscritto Ferrari Michelangelo marmoraio in S. Ambrogio veronese, esecutore del gran finestrone nella Basilica stessa, opera del Brunelleschi a diritto chiamata il miracolo dell’arte, ora che il lavoro, la Dio mercè,  è condotto a termine e per giunta riuscito di una precisione non aspettata”.  

     Erroneamente Sartori afferma che il rosone fu presentato al pubblico il 10 febbraio 1863, mentre da una analisi più approfondita il finestrone fu installato nei primi mesi del 1865, tuttavia rimane importante  la descrizione: “opra veramente stupenda ed applaudita da tutti, compiuta ed esposta al pubblico […] la si deve alla non comune intelligenza e rara sorveglianza del frate laico minore conventuale Valentino Schmidt2”.  Zaramella dice: “La luce non è abbagliante perché il finestrone è posto a nord; quindi, non riceve mai luce diretta dal sole. L’occhio del rosone è octolobato; in   ogni lobo, su fondo azzurro-indaco, c’è un mazzo di fiori assortiti; al centro invece ci sono disegni geometrici ove prevale il colore rosso”.  I vetri sono recenti, perché i precedenti caddero in frantumi con l’esplosione della bomba del 16 marzo 1945, al lato nord, nel giardinetto di via Cesarotti. Il 31 marzo del 2023 sono stati conclusi i lavori di restauro in quanto era stato visto che in alcuni punti con c’era una perfetta coesione delle parti, verosimilmente a causa delle raffiche di vento registrate nel 2022, che avevano creato infiltrazioni di acqua. A tal proposito Elvira Scigliano sul Mattino di Padova del 31 marzo 2023 scriveva: “Padova, riparato il grande rosone della basilica di Sant’Antonio […] intervento disposto con grande urgenza dalla Delegazione Pontificia nell’ambito della tutela del complesso antoniano in coordinamento con la Sovraintendenza”.

Rosone Sud.

     Riguardo al rosone del lato meridionale, completato il lavoro degli scalpellini, la ricca famiglia padovana degli Zabarella nel 1485 fece installare sullo stesso una vetrata istoriata, opera con ogni probabilità dai maestri vetrai di Murano. I padovani lo chiamarono, e non si sa perché, “l’occhio degli Zabarella”. Si dovette rifare totalmente nel 1618 dopo lo scoppio della vicinissima polveriera del Maglio (24 maggio 1617) che lo mandò in frantumi.  Gonzati, nel suo volume I, a pag. 88 scrive: “Il tempio ebbe a patire in varie sue parti, le invetriate ruppersi tutte, precipitò il finestrone che riguarda mezzogiorno”;fu rifatto, a spese dell’Arca, l’anno seguente (1618) da Antonio de Biagio il quale “s’attenne lodevolmente all’antico” disegno.  Sotto fu messa una lapide con queste memorie: “Sulphurei pulveris incendio dum terra dehiscere coelumque dilapsum, videretur, corruit IX  Kl  IUN Ann. MDCXVII”.

     Altro danno subì il 29 marzo 1749, in seguito ad un grande incendio: “il calore fu tale da fondere le lastre di piombo dei tetti e le stesse campane della torre meridionale, cadendo proprio sulla parte del rosone”. I danni furono subito riparati, evidentemente non in modo egregio se l’Arca nel 1866 decise di rifarlo.

      A tal proposito,  Sartori scrive: “Nello scorso anno veniva dalla scrivente (Presidenza dell’Arca, ndr) ricostruito il finestrone circolare esistente dal lato di tramontana del coro di questa basilica di S. Antonio ed ora deve procedere a simile opera per quello della parte di mezzodì che lo prospetta. Ma onde abbia ad esservi la necessaria armonia tra l’uno e l’altro conviene che come il primo così anche il secondo sia a vetri colorati. Nel finestrone di tramontana sono dipinti fiori e foglie ma in quello di mezzodì, diviso in cinque compartimenti, trovossi opportuna la figura. L’importanza, pertanto, del secondo è di gran lunga maggiore di quella del primo, per cui questa presidenza non si perita ad intraprendere il lavoro sullo schizzo che si accompagna senza avere un riputato giudizio che ne assicuri la buona riuscita.”

     E il giudizio lo diede  la commissione consultiva conservatrice di Belle arti ed Antichità: diede il “nulla osta a che venga eseguito il pregevolissimo lavoro del finestrone in vetri colorati a mezzodì della chiesa quale apparisce nel disegno che si pregia di ritornare.” Il disegno di questo rosone fu di fra’ Valentino Schmidt, allora custode della Basilica del Santo e grande promotore delle innovazioni di quel periodo, eseguite nella Basilica.

     Per i lavori si chiamò il tagliapietra Giovanni Toninello che nel maggio 1866 si obbligò ad eseguire i lavori “in pietra di Val di Sole”. Il 26 maggio il custode del Santo fra’ Valentino Schmidt,  nel presentare i modelli del grande finestrone “da eseguirsi in vetri colorati”, chiese “di farne la commissione alla fabbrica di Innsbruck  di Albert Neuhauser pel combinato prezzo di fiorini 1960 in banconote e si autorizza il custode a dare una metà al momento della commissione e l’altra metà al momento della consegna”. Nel novembre 1866 Alberto Neuhauser, proprietario della fabbrica, scriveva di aver mandato i disegni dei vetri e per quanto riguardava la posizione delle figure diceva che “è da osservarsi il seguente ordine: s. Daniele, s. Bonaventura, S. Antonio, S Prosdocimo, S. Giustina (a partire da sinistra per chi guarda). La prima e l’ultima figura e quella di mezzo hanno il fondo rosso, l’altre due blue”.

     Nel novembre 1866 il lavoro non era ultimato e fra’ Valentino Schmidt, in data 18 novembre da Pfaffenhofen  (Tirolo), dove si era ritirato con il passaggio del Veneto all’Italia, scriveva: “Sono dispiacente assai di sentire che cotesti fenestrai impiegano tanto tempo per collocare i vetri. Basta che non succeda qualche disgrazia della quale essi solo resterebbero responsabili”. Il 23 maggio 1867, sistemato il rosone nella parte interna, venne applicato un quadro di pietra Val di Sole […] rappresentante il blasone dell’antica casa Zabarella.

     E Zaramella, riguardo a questo rosone, nel 1996 scrive “Qui la forma a raggi è stata sacrificata per dare spazio alle figure dei santi. Specialmente nella stagione invernale, al primo ingresso nella basilica di primo mattino, non si scorgono neppure le linee del rosone; sì e no un’ombra sulla parete. Poi si delinea la circonferenza, poi appaiono i riquadri e, gradualmente le figure, che un po’ alla volta, uscendo dall’ombra, si definiscono chiaramente. I primi a farsi notare sono S. Daniele e s. Giustina, poi i due vescovi, ultimo sant’Antonio vestito di cinerino. Delicatissimo il giallo-verde del beato Luca, o per altri il diacono s. Daniele, che regge in braccio la basilica antoniana, ed il morbido rosa-verde di s. Giustina, ambedue su un fantastico fondo rosso velluto. Poi i guanti rossi di s. Bonaventura, e l’anfora gialla di s. Prosdocimo in un bellissimo fondo indaco-velluto (troppo palesi le imitazioni dei rispettivi santi donatelliani). Ultimo a comparire, perché in cinerino, Sant’Antonio, che sta al centro, con Gesù in braccio, su sfondo di rosso velluto, che lo rende ancor più scuro. Il colore prevalente, nel gioco incantevole dei rosa, rosso, verde, giallo-indaco, è però il giallo, che domina il campo sopra e sotto le figure dei santi. I vetri sono colorati d’obbligo, ché, trovandosi il rosone a sud, investito dal sole per grande parte della giornata, allagherebbe con un fiume di luce abbagliante il presbiterio, impedendone la visione o alterandola”.

     Il 27 dicembre 1894 Sartori riferisce del proposito del prof.  Boito3che, come altra volta si disse, necessita provvedere al cambio delle invetriate nei due finestroni laterali all’abside togliendo i brutti vetri colorati e sostituendo gli occhi trasparenti anche per ottenere luce sufficiente che ora fa difetto nel presbiterio e rendere visibili i bronzi di Donatello che vanno a decorare il nuovo altare” che lo stesso Boito stava facendo. Aperta la discussione, la presidenza deliberava “che intanto si cominci a cambiare le lastre sul grande finestrone che rassomiglia ad un grande caleidoscopio e che insiste sopra la cappella della Madonna Mora (si tratta del rosone settentrionale, ndr) studiando se sia decoroso collocare nel centro un vetro colorato che rappresenti o lo stemma di S. Antonio o la sigla dell’Ordine Francescano. La presidenza dell’Arca incarica il segretario a far le pratiche necessarie a fine di corrispondere ai desideri del prof. Boito facendo eseguire dei campioni […] per scegliere il campione meglio eseguito e più economico”.

     Così nel 1895, in occasione del settimo centenario della nascita del Santo, furono sostituiti i vetri dei due rosoni.  E il “Messaggero di S. Antonio” del 2017 definisce la sostituzione dei vetri alla basilica del Santo come  “operazione improvvida”, cui ha fatto rimedio il più recente restauro del 2006-2012 che ha ripristinato l’originario colore dei vetri, utilizzando le moderne tecnologie, senza però sostituirli.

     Il terzo rosone è il primo ad attirare il pellegrino perché è quello della facciata, realizzato nel XIX secolo, ad ornamento del finestrone esistente. Come dice Sartori: “Nel 1874 si riatta il grande rosone della facciata”. Ispirato allo stile gotico, ha la forma di un fiore con otto petali che si dipartono da un luminoso cerchio-corolla.

NOTE

     1 Albert Neuhauser (1832- 1901) nel 1861 aveva fondato a Vipiteno una ditta specializzata nella produzione e nel restauro di vetrate. Nel 1870 si trasferì a Innsbruck e qui aprì una bottega con i soci Georg Mader e Josef Von Stadl.  Sebbene la produzione della ditta fosse variegata, tuttavia era il contesto religioso a prevalere;  lavorava per chiese in tutta Europa e in America. Nel 1877 un viaggio in Italia e in particolare a Venezia stimolò Neuhauder ad introdurre in Austria l’arte del mosaico. La ditta ora si chiama Tiroler- Glass- und Mosaikanstalt.

     2 Fra’ Valentino Schmidt, al secolo Gregor, nacque nella Prussia renana l’11 aprile 1821 dove studiò l’arte dell’ebanisteria; nel 1847 prese i voti con il nome di fra’ Valentino. Venne chiamato dalla città dei papi e poi inviato a Bologna dove realizzò il coro di legno per i frati del suo ordine nella chiesa di S. Francesco. Nel 1853 arrivò a Padova, chiamato da padre Antonio Stenghel, in qualità di custode e campanaro. Angelo Sacchetti di lui scriveva: “Fra Valentino era un valentissimo maestro in qual si voglia ramo dell’arte antica e moderna. Ebanista, lavoratore di tarsie, di dorature, di smalti, di cristalli figurati, archeologo, architetto, costruttore insigne; tornò al prisco splendore l’antoniana basilica, che egli amò più d’ogni altro con ammirabile devozione ed ardore”. (Angelo Sacchetti, Fra’ Velentino in Euganea, Padova, 6 gennaio 1891). Era stato il padre Antonio Stenghel a farlo venire a Padova: “Ha fatto giungere dalla Baviera fra Velentino Schmidt, il quale sarebbe disposto di assumere il carico di campanaro e custode della Basilica, rappresentando pure che lo stesso è abilissimo intagliatore, e falegname di più conosce la lingua italiana, francese e tedesca”. Egli gestiva le spese per l’acquisto del materiale e i pagamenti elargiti agli esecutori dei lavori, registrando tutto personalmente e con molta attenzione. Nel 1863 fra Valentino entra a far parte della Commissione conservatrice. Con il passaggio del Veneto all’Italia fra Valentino nel 1866 si allontanò da Padova per un po’ di tempo.  Sembra che la situazione politica non avesse creato problemi nei rapporti tra la Veneranda Arca e Schmidt che mantenne la sua carica fino al 1890 quando si dimise per motivi di salute. E allora i presidenti della Veneranda Arca decisero di comune accordo di conferirgli la carica di custode honoris causa e di continuare a dargli del denaro fino alla sua morte, avvenuta nel 1891. Fra’ Valentino Schmidt, ingegnere tedesco di “mirabil potenza di artistico genio” che nei 37 anni in cui ricoprì l’incarico di custode della basilica del Santo, diresse gran parte dei lavori di restauro eseguiti nella seconda metà dell’Ottocento, tra cui la sistemazione della cupola della Madonna Mora e del Santissimo; ma fu anche un progettista e come tale nel 1863 realizzò i modelli per il rosone meridionale.

     3 Camillo Boito, fratello del famoso letterato e musicista Arrigo, nacque a Roma il 30 ottobre 1836; studiò a Padova e poi all’Accademia di Venezia, dove fu allievo di Pietro Selvatico (1803-1880). Nel 1856 divenne professore aggiunto di architettura; dal 1860 al 1908 insegnò architettura all’Accademia delle Belle arti di Brera e dal 1866 fu docente all’Istituto Tecnico Superiore di Milano. La sua attività principale fu l’architettura e come architetto intervenne al progetto del Palazzo della Ragione a Padova, a quello del convento del Santo e diresse i lavori per la sistemazione dell’altare maggiore della basilica. Con l’unità d’Italia fu uno strenuo sostenitore dello “stile nazionale” ed esponente del “restauro filologico”. È stato anche scrittore vicino alla corrente “Scapigliatura milanese”.

Bibliografia

B. Gonzati, La basilica di S. Antonio di Padova, Padova, Ed. A. Bianchi, 1852;

E. Scigliani, Riparato il grande rosone della Basilica di S. Antonio di Padova, Il Mattino di Padova, 31 marzo 2023;

V. Zaramella, Guida inedita della Basilica del Santo, Padova, Centro Studi Antoniani, 1996;

A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, Voll. I- IV, a cura di Giovanni Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989;

www. messaggerosantantonio.it, Vetrate e rosoni. Un inno alla luce, 4 giugno 2015, ultimo aggiornamento 31 marzo 2017;

www.dspace.unive.itIl polinsesto antoniano 1830-1940, Maria Beatrice Gia. Tesi di ricerca in Dottorato in Storia delle Arti, Venezia, Ed. Università Ca’ Foscari, 2019.

A. Sacchetti (a cura di), Materiali  per comporre una guida artistica di Padova raccolti dall’anno 1865 al 1872,  manoscritto conservato presso la Biblioteca Civica di Padova;

Archivio della Veneranda Arca di S. Antonio, Inventario a cura di Giorgietta Bonfiglio Dosio e Giulia Foladore, voll. I-III, Padova, Veneranda Arca di S. Antonio, Centro Studi Antoniani, 2017.

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