di Rocco Orlando
I rosoni della Basilica del Santo di Padova sono di molto posteriori alla costruzione della stessa. L’intenzione dei geniali ideatori era quella di dar luce diretta e abbondante al presbiterio, non dall’alto, ma dai lati, attraverso i grandissimi rosomi che aprono al sole quasi metà della parete con un diametro di nove metri. Questi due rosoni furono eseguiti dopo la primavera del 1394, quando un campanile, colpito da un fulmine, crollò nella parte absidale del santuario. A questa rovinosa distruzione seguì un periodo in cui furono eseguiti importanti lavori, tra i quali l’apertura dei due rosoni.
Sono ambedue a forma circolare e di ampiezza e diametro uguali, ma lo scheletro è molto diverso. Gonzati (vol. I p. 129) dice: “ [Si tratta di] due grandi rose di pietra che ornano i circolari finestroni ai fianchi del presbiterio. Quello posto a settentrione è più antico, è anche più bello perché conserva nella struttura totale e nella distribuzione delle parti la figura sferica della finestra. I raggi che partono regolarmente dal circolo del centro, i quadrilobati tra raggio e raggio e le altre fogge capricciose di ornato compongono il più gradevole traforo. Devesi quest’opera ad un giovane guerriero figliuolo di Filippo Bisalica, un nobile patrizio di Piacenza. Fuori e dentro veggonsi le insegne di questo nobilissimo lignaggio, le quali mostrano in tre scudi una croce a scaccata a due striscie, in altri due la medesima croce a scacchi ed una mano vestita di ferro che scaglia un dardo. L’età di questo lavoro è dal 1339 al 1341 ad opera del maestro scalpellino Gabriele del fu Franceschino […] che eseguì il lavoro in collaborazione del tagliapietra Francesco della stessa contrada”.