Traducendo Goethe
Alla luna piena che sorge è una delle liriche
dell’estrema maturità di Johann Wolfgang Goethe e possiede almeno una duplice
valenza: da un lato è legata al ricordo di Karl August von
Sachsen-Weimar-Eisenach (colui che nel 1775 aveva invitato il poeta a Weimar
dando inizio a un sodalizio anche amicale oltre che professionale e culturale)
morto il 14 giugno 1828, dall’altro rappresenta uno dei momenti più alti del
dialogo goethiano con la natura e della sua meditazione sulla morte.
La luna piena rappresenta l’amico da poco scomparso capace di risplendere, pur
nella vertiginosa lontananza, di una luce che eleva, ma è anche l’astro lunare
che, pur oscurato dalle nubi, fa avvertire al poeta l’amore cosmico che si dà a
vedere infine come plenilunio che trionfando rende sublime la notte.
Goethe, che negli anni giovanili, imbevuto di cultura classica, “sentiva” la
luna di genere femminile (di contro al genere maschile del tedesco “Mond”) a
tal punto da usare nei suoi testi il termine “Luna”, aveva condotto per tutta
la vita una sorta di dialogo con l’astro – ma non solo: tra i suoi disegni del
soggiorno romano (durante il viaggio in Italia tra il 1786 e il 1788) ce n’è
uno che ritrae anche la luna piena sulla Piramide Cestia – topos
dell’intera tradizione lirica sia occidentale che orientale, la
luna della maturità goethiana assurge a incarnazione della presenza-assenza,
della vicinanza-lontananza, del superamento, cioè, di dicotomie che vengono
percepite invece, in una sorta di coincidentia oppositorum, quali
stati esistenziali compresenti e in continuo divenire.