Finisterre pugliese

Se in Comi domina un orfismo percorso dalla quête spirituale (anche di tipo teosofico) che perfora di netto l’acciaio della misura parnassiana, in Carrieri l’immediatezza del dettato nasconde alcuni preziosi barbagli surrealistici, urtati da simboli ed emblemi. Così accade anche per Bodini, vero e proprio “inventore” della lirica meridionale e importatore del surrealismo spagnolo (Rafael Alberti, in particolare). Pagano, che muove da istanze ermetiche, è invece orientato verso un più smaccato – e quasi esasperato – manierismo di forme e temi con «superfetazioni di immagini» e «posture da maudit». L’estremismo di Bene riguarda, infine, uno straniamento della comunicazione poetica, venata di incrostature espressionistiche e furibondi sguazzi iperlinguistici che presuppongono una sottaciuta performance. L’indagine di Giorgino – coadiuvata, nel corso del tempo, dal lavoro en marges di altri specialisti come Oreste Macrì, Mario Marti, Donato Valli e Antonio Lucio Giannone – dimostra così il parziale o totale affrancamento della lirica meridiana dall’«ortodossia delle poetiche maggioritarie o metropolitane». Il senso dell’operazione è in un forte ripensamento del paradigma: la storia della letteratura va sempre di più riscrivendosi nella valorizzazione delle periferie e delle voci “altre”, come fossero corvi alla finestra con un’ala spezzata.

[Pubblicato col titolo Finisterre pugliese: Comi, Carrieri, Bodini, Pagano, Bene in “Alias – Il Manifesto” del 3 novembre 2024, pp. 6-7]

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