di Alberto Fraccacreta
La terra riarsa e le esuberanze dei motivi floreali nella pietra leccese. La secchezza dei palmizi e i rosoni ricamati. Lo spatial turn, la geocritica e persino l’ecocriticism ce lo dicono chiaramente: nel cuore di una certa spazialità emerge un’esperienza intellettuale, letteraria ben definita. Non è un caso che, secondo Albert Camus, i popoli mediterranei siano ontologicamente accomunati dal cosiddetto “pensiero meridiano”: questione di solarità sgretolante e scaglie di mare, di misura, equilibrio e ossimorico cafard. Ecco che Simone Giorgino, contemporaneista dell’Università del Salento, intende fornire con Eretico barocco. Una linea meridiana nella poesia italiana del Novecento (Carocci, pp. 156, € 18,00) un anticanone di cinque poeti «in mezzo al guado» (Girolamo Comi, Raffaele Carrieri, Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Carmelo Bene), congiunti da un’eterodossia stilistica e una foucaultiana eterotopia che è appunto saldata alla loro provenienza salentina e che implicitamente si oppone alle poetiche comuni in una «cospirazione provinciale». Come non ricordare le epifanie spagnoleggianti di Carrieri in Io non sono una cicala (1967)? «Nel meriggio di fuoco / Dava cornate il sole / E mi strappava / Senza sangue il cuore. / Fuggevole un’ombra, / Una sola colomba». O, ancora, l’impossibilità fàtica del poema ’l mal de’ fiori di Bene (2000)? «Similvita / oscena che / sé finge morta / ed è ancora /vegetadolescenza / languida ch’è sorrisa / da ’l mai più». Tra acre agonismo nei confronti degli stilemi tradizionali e tensioni di autenticità esistenziale (senza però strizzate d’occhio alla realtà politico-sociale), i cinque autori del Finisterre pugliese sono letti da Giorgino «con la loro dissidenza rispetto a una norma stabilita, manifestata con pratiche scrittorie anche radicalmente originali e una ricerca linguistica ora costruita sull’esercizio virtuosistico di sottili variazioni che increspano appena la superficie del dettato (in Comi e in Carrieri), ora caratterizzata da una hybris forsennata e metamorfica (in Bodini e in Pagano) o addirittura barbarica e deflagrante (in Bene)». Il tutto nel segno del barocco architettonico respirato e indossato nell’«oltranza decorativa» del territorio di appartenenza.