Ripercorriamo allora, sia pure sinteticamente, l’attività letteraria di Comi per comprendere fino in fondo la fondamentale differenza tra le due fasi principali di essa. Nato a Casamassella in provincia di Lecce nel 1888, Comi si formò prima in Svizzera poi in Francia dove assorbì la lezione del simbolismo. Esordì nel 1912 con il libro di versi d’impronta simbolista Il lampadario, apparso a Losanna, dove egli studiava, e successivamente rifiutato. Nel 1920, dopo la drammatica esperienza bellica, si stabilisce definitivamente a Roma, dove stringe rapporti di amicizia e collaborazione con alcuni scrittori come Arturo Onofri e Nicola Moscardelli, con i quali fonda le edizioni “Al Tempo della Fortuna”. Nella capitale riprende l’attività letteraria pubblicando, nel 1929, Poesia (1918-1928), la sua prima antologia che comprendeva una scelta di liriche tratta dalle quattro raccolte precedenti. È significativo che già in questo libro una sezione è intitolata Pregare, ma qui siamo ancora nella fase “cosmica” della poesia comiana come venne definita da Sergio Solmi in una recensione (S. Solmi, Poesia cosmica, in «L’Italia letteraria», ii, 9, 2 giugno 1929). Non a caso, in questo periodo, Comi ricorre spesso alla forma metrica del “cantico” che utilizza per celebrare con tono alto e solenne i vari elementi dell’universo: l’albero, il suolo, l’argilla, lo spazio, la luce, l’estate l’alba, il mare, il creato.
Anche nel volume Cantico dell’argilla e del sangue, apparso nel 1933, c’è una sezione dal titolo Preghiere nel tempio della luce, ma qui non ci sono ancora riferimenti alla religione cristiana perché tutto vive ancora in un’atmosfera panteistica e addirittura, potremmo dire, pagana (in una composizione ritornano gli “dei”). In alcune liriche di questa raccolta però è possibile notare il passaggio da una concezione immanentistica a una trascendente, anche se di tipo ancora magico e antroposofico, e infine a una integrale visione cristiana. Nella lirica intitolata Il Verbo, il “linguaggio” del Signore diventa veramente Verbo divino:
Il tuo linguaggio profondo
è come un’ala distesa
un’ala di luce rappresa
dentro l’argilla del mondo
e in ogni consumo di cose
rutila e s’ingigantisce
un fuoco che non finisce
per cui rinascono rose,
pensieri paesi e persone
uniti in un cantico ebbro
ch’è oscura comunione
coi calici del tuo verbo
(G. Comi, Poesie, Musicaos Editore, Neviano (Le), 2019, p. 93),
dove c’è quasi il senso della permanenza del fuoco originario che permane negli individui e negli oggetti del creato e li unisce per sempre alla divinità attraverso il Verbo.
Ancora più esplicita e significativa è La Grazia, da dove, secondo alcuni, comincia «la poesia veramente religiosa» di Comi (L. Fallacara, La poesia di Girolamo Comi, in «Città Nuova», a. V, n. 3, 10 febbraio 1961), una delle sue liriche più alte e significative. Qui è proprio attraverso la Grazia divina che il poeta sente il Verbo, dimenticando la sua «cupa e orgogliosa parola». Le «sillabe del sangue» diventano allora «preghiere»:
Se la Tua grazia m’inonda e mi colma
il respiro mi manca, ed è allora
ch’io sento il verbo e dimentico l’ombra
della mia cupa e orgogliosa parola.
Se Tu m’assisti, il mio cuore diventa
un grande bosco di pensieri vivi
in cui regna e s’eterna la sementa
dell’ansia antica dei morti e dei vivi.
Ed una forza armoniosa invade
le sillabe del sangue e le rende
preghiere piene dove rotea e splende
la rosa aurea dei tuoi cieli, o Padre.
(G. Comi, Poesie, cit., p. 95)
«La sensualità panica – è stato scritto a proposito di questa poesia – si è concentrata in un sentimento religioso, cristiano della vita (sia pure d’un cristianesimo con molte tracce ancora di immanentismo); e quell’immaginismo acceso, rutilante è divenuto tutt’una cosa con tale sentimento della vita» (A. Bocelli, Spirito d’armonia, in «Il Mondo», 10 agosto 1954). D’altra parte, lo stesso Comi, nel suo volumetto del 1937, Aristocrazia del Cattolicesimo, dove ormai questa religiosità è sfociata nella conquista definitiva della fede cattolica, così definiva sinteticamente la sua evoluzione:
Partito come molti da un quasi orgiastico culto dell’Io, posseduto e nudrito da un rutilante tenebrore di stati d’animo panteistici e panici, sono sboccato, ‒ non senza gaudiose e perigliose soste negli arcipelaghi delle più avvincenti eresie ‒ nel riconoscimento totalitario di Dio (G. Comi, Aristocrazia del Cattolicesimo, Guanda, Parma 1937, p. 28).
In effetti, però, è solo a partire dalla raccolta antologica del 1939, Poesia (1918-1938), che si nota una «cordiale e totale adesione al cattolicesimo nella pienezza della dottrina e della tradizione», come scrisse Raffaello Prati che più avanti aggiungeva: «Da un senso di spiritualità cosmica al sentimento universale ma anche paterno e personale, quello di Dio Padre». (R. Prati, Prefazione a G. Comi, Poesia (1918-1938), “Modernissima”, Roma 1939, p. 6)
In questa raccolta compare una sezione, dal titolo Preghiere nella Chiesa di Cristo, dove sono comprese otto composizioni scritte tra il 1937 e il 1938, poi ridotte a cinque nella scelta finale che il poeta fece, nel 1954, nell’antologia definitiva della sua produzione, Spirito d’armonia. Esse delineano un percorso di redenzione, di rinascita spirituale del poeta attraverso la liberazione dai residui desideri terreni fino alla “guarigione” e il progressivo tendere verso il Regno celeste. E la preghiera costituisce proprio lo strumento principale per raggiungere questo obiettivo.
Nella prima composizione della sezione, Alito primo, il poeta si accorge ancora che «la carne è malata», anche se già «rifulge» in lui «l’alito primo d’una luce sacra» e percepisce «il richiamo d’un intatto Regno» (G. Comi, Poesia (1918-1938), cit., p. 115). Non a caso, in Pasqua, confessa che «piegando la testa» sente «la crescita pura / di un fulgido appello ch’è gesta / di Verbo in ogni creatura» (ivi, p. 116). E infatti subito dopo, in Ringraziamento, eleva appunto un “ringraziamento” al Signore perché si rende conto che sta per raggiungere un rinnovamento spirituale («una spirituale primavera») grazie proprio alla preghiera:
Tremando d’umiltà nella preghiera
sento in me germogliare la stagione
d’una spirituale primavera
(ivi, p. 118).
Ancora, in Signore, non son degno, ricorre alla formula liturgica, derivata dal Vangelo di Matteo, per invocare, ancora una volta, il Signore di liberarlo dall’ «orgoglio e della carne e della voluttà…»:
Fa che in me sbocci la forza serena
d’una preghiera che non s’interrompe
e che alla luce d’una grazia piena
io possa bere come ad una fonte
(ivi, p. 119).
In Preghiera dell’8 dicembre si rivolge invece alla Madonna Immacolata perché riesca a raggiungere la purezza agognata e guarisca «nello spirito e nella carne» e la sua anima finalmente purificata possa raggiungere la beatitudine celeste:
Dammi, o Madre, le armi
della purezza… Ch’io sia
guarito per Tua magia
nello spirito e nella carne
e tutto l’essere bruci
‒ nell’ansia del suo destino ‒
di quelle vergini luci
che incoronano il Tuo Mattino…
e che improvvisamente avvolta
nell’inno delle Tue ali
l’anima dissepolta
dalle stagioni carnali
riemerge fra lo zaffiro
del Tuo celeste respiro
(ivi, p. 121).
In Clima del tempo eterno è rappresentato infine il momento della definitiva «guarigione» del «terrestre spirito» e il raggiungimento di «una pura / attività d’amore nella sfera / della Luce che ha suono di preghiera…» (ivi, p.122).
La sezione termina con una composizione intitolata Cristo, nella quale si celebra il Figlio di Dio fatto uomo, la cui «parola – attiva Verità ‒» resta «a fondamento dell’Eterno»:
All’aura del Messaggio – lievitato
dal tuo sangue medesimo – Signore,
l’ombra decresce del nostro peccato,
si costellano d’Angeli le aurore
e il singhiozzo segreto che ci strazia
si scioglie in pianto raggiante di grazia
Agli anni seguenti risalgono ancora due poesie in forma di preghiera, entrambe comprese poi in Spirito d’armonia: Preghiera per la madre e Preghiera per il padre e la madre. Composte in occasione della scomparsa dei genitori, sviluppano il motivo della morte come preludio all’immortalità e a una nuova nascita nella «gloria del cielo». Così scrive infatti nella Preghiera per la madre:
e l’immortalità che dal morire
erompe ‒ fiore e frutto di vittoria –
ti vesta un po’ ogni giorno della gloria
del cielo in cui tu devi rifiorire
(G. Comi, Poesie, cit., p.139).
E anche nella Preghiera per il padre e per la madre parla di «quella gioventù senza tramonto / di cui noi siamo eredi per virtù / del radioso sangue di Gesù…» (ivi, p. 140).
(continua)
[In La preghiera nella letteratura italiana, a cura di M. Ballarini, S. Brambilla, P. Frare e G. Langella, Milano, IPL, 2024, pp. 608-615]