Girolamo Comi: Poesia come preghiera (prima parte)

di Antonio Lucio Giannone

Il tema della preghiera ha una rilevanza particolare nell’opera di Girolamo Comi. Si può dire che tutta la sua poesia è una forma di preghiera, di inno, di celebrazione. Non a caso, in un articolo del 1962, il poeta così scriveva: «Preghiera e poesia, come ha cercato di dimostrare l’abate Bremond,  sono una sola cosa» (G. Comi, Ricordo di Arturo Onofri, in «L’Albero», fasc. XII, 1962, n. 36-40, p. 51) . In effetti, Comi, in tutto l’arco della sua attività, ha rifiutato quel tipo di poesia che mette al centro del proprio interesse l’io, le angosce individuali, le inquietudini esistenziali, i propri sentimenti. La poesia per lui deve essere un’attività totalizzante, quasi di tipo sacerdotale, a cui bisogna riservare una dedizione assoluta, rifuggendo volutamente, con profonda convinzione, la gloria, il facile successo, l’applauso del pubblico. Non a caso, fin dal titolo di un suo libro del 1934, egli parla della «necessità» di uno «stato poetico» permanente. Anche il termine “preghiera” è ricorrente nella sua produzione e figura pure nei titoli di alcune composizioni, di sezioni di raccolte e dell’ultimo volumetto.

Ma la poesia di Comi ha attraversato varie fasi, distinte nettamente tra di loro. La prima fase, che va dal 1920 al 1933, è caratterizzata da una concezione immanentista di tipo panteistico sulla quale ha avuta un’influenza decisiva la dottrina antroposofica di Rudolf Steiner. In questo primo momento, perciò, la sua poesia ha celebrato il creato, la bellezza, l’armonia del creato, visto non separato dall’uomo, ma misticamente collegato ad esso attraverso la componente spirituale. Dopo la conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1933, invece, essa diventa vera e propria preghiera a Dio, al Signore, tanto è vero che l’ultima raccolta, pubblicata nel 1966, due anni prima della sua morte, è intitolata Fra lacrime e preghiere.

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