di Antonio Montefusco
Sulla tomba del cimitero di Montmartre, Stendhal ha voluto una lapide in italiano: «Arrigo Beyle [era il suo vero nome, nda] Milanese, scrisse, amò, visse». Lo scrittore non era riuscito a entrare all’Ecole Polytechnique, e da raté (grande perdente), si imbarcò con Napoleone Bonaparte. Uno dei più francesi degli scrittori romantici, sepolto in uno dei più parigini dei cimiteri, non amava assai la Francia e i francesi, che trovava arroganti. Per questo motivo, lo considerava assai simpatico Eric Hazan, leggendaria figura di editore francese scomparso a 88 anni lo scorso giovedì 6 giugno. Paradosso dei paradossi per un parigot autentico: amante appassionato di Parigi, e cultore di letteratura soprattutto francese (e specialmente ottocentesca, quella del grande romanzo e poi della Bohéme), trovare simpatico il “non” amore di Stendhal.
Hazan è stato l’inventore di un modo moderno di fare editoria indipendente in un mondo di grandi colossi – uno dei quali, tra l’altro, aveva acquisito la casa editrice del padre, specializzata nei libri d’arte, negli anni Novanta – e cioè trasformare la pubblicazione di un libro in una cassa di risonanza della discussione pubblica e la casa editrice in un crocevia accogliente di tutto il pensiero che mette in discussione l’ordine di cose esistente e sfida continuamente e provocatoriamente il consenso e il racconto unitario della Repubblica. È qualcosa di difficile da cogliere al di fuori della Francia, dove la «rivoluzione» con la R maiuscola è ingabbiata in una religione civile solo apparentemente inclusiva – fraternité – ma in verità attraversata da linee di frattura che le pubblicazioni della Fabrique, immediatamente riconoscibili nelle sue copertine monocolore e nei suoi caratteri tipografici vintage, volevano trasformare in tumulto, insurrezione, contro-narrazione.