di Gianluca Virgilio
“Appresso la mia ritornata mi misi a cercare di questa donna che lo mio segnore m’avea nominata ne lo cammino de li sospiri; e acciò che lo mio parlare sia più brieve, dico che in poco tempo la feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia; onde molte fiate mi pesava duramente. E per questa cagione, cioè di questa soverchievole voce che parea che m’infamasse viziosamente, quella gentilissima, la quale fue distruggitrice di tutti li vizi e regina de le vertudi, passando per alcuna parte, mi negò lo suo dolcissimo salutare, ne lo quale stava tutta la mia beatitudine.” (V.N. X, 1-2)
È l’evento traumatico che interrompe bruscamente la finzione della donna schermo. La “gentilissima” Beatrice toglie il saluto all’amante, perché la donna che questi ha preso a sua “difesa”, la seconda donna schermo, è oggetto di commenti che vanno “oltre li termini de la cortesia”, e tornano a disonore del poeta-amante. Così, scrive E. Sanguineti, “il poeta è respinto in nuova solitudine, e il movimento del “libello” è riportato ad una sorta di nuovo cominciamento assoluto”[1].
Dopo il capitolo XI, nel quale il narratore racconta con una breve digressione “quello che lo suo salutare in me vertuosamente operava” (V.N. X, 3), nel capitolo XII ritroviamo l’amante in preda alla più profonda disperazione.