Studiare Jacopone da Todi al tempo del fascismo

L’anastatica di questa edizione è oggi pubblicata nel quadro delle edizioni gobettiane (N. Sapegno, Frate Jacopone, Edizioni Storia e Letteratura, 2024) arricchita da un prezioso paratesto informativo. Lo studio di Sapegno si sviluppa su due movimenti, che sono anche le due parti del libro: una sezione biografica, che ricostruisce la vita di Iacopone, un personaggio in vista della Todi del Duecento che si converte tardivamente alla vita francescana per poi entrare in conflitto con la dirigenza dell’Ordine e con il papa, finendo addirittura in prigione; una sezione più letteraria, che propone una lettura dell’opera poetica di Iacopone, le Laudi (ballate di argomento religioso).

Le due parti fanno emergere due anime dello studioso, che rimontano a due approcci diversi: da una parte, quella erudita della scuola storica, fortemente radicata nell’Università di Torino; dall’altra, quella crociana, che rendono operativa sull’opera del frate-poeta la distinzione fra poesia e non poesia. Possono sembrare divaricate, ma in realtà Sapegno riesce a superare il pregiudizio storico che manteneva Iacopone completamente “fuori” dal canone letterario, o perché “popolare” o perché troppo teorico (e quindi colto, secondo Novati). Riesaminando le fonti che confermano la partecipazione attiva del frate alla frangia più tormentata dei francescani, lo Iacopone di Sapegno è segnato da questo conflitto religioso, ma anche da un percorso di continua conversione. Questo quadro permette allo studioso di far saltare il corto-circuito crociano: invece di cercare spezzoni di vera poesia, Sapegno isola il nucleo lirico di questa scrittura a metà tra i vortici lessicali delle laude che tentano l’impossibile descrizione del rapporto con la divinità, e quelle più violentemente implicate nella lotta religiosa, e quindi predicatorie, retoriche, finanche filosofiche. Questa mossa è rimasta isolata ed è stata scarsamente messa in atto dalla critica successiva, che con molta difficoltà ha saputo vedere nelle Laudi un’esperienza poetica parallela a quella dello Stil Novo e del giovane Dante (ed è il risultato più rilevante dell’analisi di Sapegno), sottolineandone, al contrario, una voluta ed esibita marginalità.

Eppure questo saggio, pure apparentemente così lontano e accademico, pure così capace di incubare il metodo e gli interessi del Sapegno maturo (la storia letteraria totale, il problema delle origini e della poesia minore) e della sua capacità di fare scuola (coi vari Salinari e Asor Rosa), bruciava di attualità in quel fatidico 1926 ed era capace di unire il percorso tormentato di Natalino e quello di Gobetti. Avvicinatosi a quest’ultimo ma poi ritiratosi dalla militanza attiva, Sapegno trovava nella tradizione famigliare cattolica un rifugio che lo portò a curare un’antologia di Tommaso d’Aquino poco dopo la laurea; proprio nello stesso anno, Gobetti inchiodava un’intera generazione alle sue responsabilità non solo politiche ma anche intellettuali invitando a scegliere: «o con il tomismo e con la Chiesa, o con il razionalismo moderno … con l’eresia, insomma.» (La Rivoluzione liberale, 1922) Lo Iacopone di Sapegno è il sintomo di un tormento di questa generazione, che si mette davanti a un eretico e scismatico (come Gobetti) che «non pareva avvertire il pericolo della sua posizione estrema» (p. 68).  

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