Si scopre così che in quel di Brescia, in un campetto della periferia, si svolge regolarmente, e con grande vivacità, un campionato di calcio amatoriale tra squadre di bambini, sostenute dall’entusiasmo e dal tifo dei ‘grandi’, cioè: genitori, fratelli, zii, nonni e vicini di casa.
C’è da immaginare che le partite si consumino con grande ardore e partecipazione, e che i punteggi – come spesso succede in simili casi – siano anche da pallottoliere (che so: 13 a 9, oppure 7 a 7 , o imbarazzanti valanghe di gol che sommergono una delle squadre contendenti, magari con un catastrofico 20 a zero!).
Anche se, al contrario, può venir da pensare che i bambini in campo, oggi, non sono più i piccoli e sprovveduti tira-calci di una volta, ma atleti perfettamente istruiti a difendersi in maniera perfetta, con i tatticismi copiati dalle squadre ‘vere’ dei grandi, e addestrati a menadito da un altrettanto ‘vero’ all’allenatore, il cui motto è – indefettibilmente – “Primo: non prendere gol!”…
Già: l’allenatore. Anche in quel campetto di periferia, a Brescia? Certo! Anche le squadre di bambini che se la battono per vincere il loro campionatino hanno il loro bravo ‘mister’, altroché. Non sono mica gruppetti improvvisati e lasciati al loro destino come una volta. E poi, sono questi i vivai per le squadre maggiori. E l’allenatore, una guida sicura, ci vuole per forza.
In una delle partite più recenti, è stato proprio l’allenatore a intervenire (con grande affetto, sapienza, e senso dell’umorismo, come vedremo) per risolvere un caso incredibile, che ha avuto come protagonista un giocatore della sua squadra: un bambino di 11 anni. Il quale, per un violento attacco di alopecia, in poco più di una settimana, ha perso tutti i capelli, restando completamente calvo.
Succede così che in quella fatidica partita, dopo le prime schermaglie, il bambino senza capelli viene preso di mira dai giocatori avversari, i quali lo beffano ripetutamente al grido di: «Pelato! Pelato!».
Il bambino senza capelli, per un po’ stringe i denti e soffoca le lacrime. Ma solo per un po’. Poi, non ce la fa più. Si vergogna. Vorrebbe sparire alla vista di tutti. Finché, piangendo a singhiozzo, lascia di corsa il terreno di gioco, si rannicchia per terra, e chiede di essere sostituito.
Ma lo raggiunge subito l’allenatore. Che lo sgrida con energia e tenerezza. Gli dice che non deve mollare. Che deve continuare a giocare per non darla vinta a dei balordi, i quali si credono più forti perché loro hanno i capelli, e lui no. Ma la forza sta nelle gambe e nel cuore. I capelli sono solo un contorno. «Torna in campo e fagli vedere chi sei!», gli urla l’allenatore.
E il bambino torna a giocare.
Quando finisce la partita, l’allenatore gli corre incontro e lo abbraccia forte. Poi, tira fuori a sorpresa un rasoio, l’allenatore. E si rasa i capelli a zero. Un vero ‘pelato’!
«Anche senza capelli siamo i più forti», dice al suo piccolo allievo, passandosi la mano sul cranio lucido come una palla di biliardo.
Mentre il bambino senza capelli torna a sorridere e a correre di nuovo.
[“Il Galatino” anno XLVIII n. 21 del 18 dicembre 2015, p. 3]