Inchiostri 130. Secondo inchiostro partenopeo

di Antonio Devicienti

Il mulino in ferro di Jannis Kounellis è luce e grazia in mezzo agli alti, compatti palazzi; esso chiama il vento, è di ferro riciclato che ha conosciuto già una, se non più vite.

Massicci i fabbricati di cemento e laterizi tirati sù verso il cielo a colmare lo spazio – ed ecco il mulino, esile e colmo d’aria, inutile come tutte le cose d’arte e proprio per questo così necessario e irrinunciabile.

Allude al vento, che in una città marittima s’insinua nei vicoli e nelle strade, viene dal mare e ritorna al mare.

Allude al lavoro, ai mulini per macinare, al ferro lavorato e saldato, mulinio di forze meccaniche, di tecniche e sapienza applicate al lavoro.

Allude a un’aerea verticalità, leggerissima tessitura che la siderurgia (sapienza all’origine della civiltà) rende possibile trasferendo al metallo il pensiero umano che progetta, realizza, costruisce.

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