Il Vocabolario degli Accademici della Crusca suscitò grande interesse e, contemporaneamente, accese dispute; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante proposto dal Vocabolario, che comunque rappresentò per secoli, in un’Italia politicamente e linguisticamente divisa, il più prezioso e ricco tesoro della lingua, legame interno alla comunità, strumento indispensabile per tutti coloro che volevano scrivere in buon italiano e spinta per il raggiungimento dell’unità linguistica a quei tempi inesistente. Quel testo ebbe grande fortuna in tutta Europa e costituì modello di metodo per altre accademie europee che si impegnarono nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue nazionali. In Francia apparve in prima edizione nel 1694 il Dictionnaire dell’Académie Française, fondata dal cardinale Richelieu nel 1635. In Spagna si pubblicò negli anni 1726-1739 il Diccionario della Real Academia Española, sorta nel 1714. In Inghilterra nel 1755 apparve il Dictionary of the English Language di Samuel Johnson, che era in rapporti con la Crusca. In Germania i fratelli Grimm pubblicarono il Deutsches Wörterbuch (primo volume nel 1854), modellato sul Vocabolario della Crusca.
Ampliata di molto nelle altre tre edizioni uscite entro la metà del secolo XVIII (II: 1623; III: 1691; IV: 1729-1738), l’opera della Crusca rappresentò il monumento della lingua italiana, pur sottoposta a vivaci critiche sui criteri di scelta e trattamento del materiale lessicografico. Nel 1863 l’Accademia iniziò a pubblicare la V edizione del Vocabolario, ma la realizzazione procedeva a rilento e, soprattutto, l’impianto puristico e normativo (pur temperato rispetto alla rigidità iniziale) era inadeguato alle istanze dei tempi e del neonato stato italiano: l’unificazione linguistica della popolazione, in grande maggioranza analfabeta o scarsamente alfabetizzata, non poteva realizzarsi sulla base di modelli prevalentemente scritti e letterari. Tra polemiche accese e spesso contrapposte, per disposizione del ministro Gentile fu tolto alla Crusca il compito di preparare il vocabolario nazionale e quel tentativo di edizione restò incompiuto (si arrestò alla lettera ozono, vol. XI, 1923). La decisione ebbe una conseguenza quasi paradossale che avrebbe avuto un certo peso nel secondo dopoguerra, consegnando alla Crusca una sorta di patente antifascista. Ma soprattutto, esentandola dall’esorbitante attività lessicografica, ne indirizzò la ricerca verso la filologia, la storia della lingua, la grammatica: a partire da quella data all’interno dell’Accademia o in collegamento con essa nacquero o presero nuovo slancio collane e riviste scientifiche di alto livello e si produssero mirabili edizioni di testi antichi. Si istituirono tre centri di ricerca, che hanno conferito all’Accademia il carattere, che ancor oggi le appartiene, di un vero istituto di alta ricerca linguistica: il Centro di filologia italiana, il Centro di grammatica italiana, il Centro di lessicografia italiana. Ne sono nati lavori straordinari, presenti nelle biblioteche di tutto il mondo.
Dopo i primi quattro secoli, nell’ottobre 1990 una svolta radicale interviene nella vita dell’Accademia, che si dà nuovi compiti e nuovi obiettivi. Ne parleremo la prossima settimana.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 18 ottobre 2024]