di Gigi Montonato
Quello di Matteotti fu un delitto politico che spianò la strada alla dittatura di Mussolini. I delitti politici sono sempre molto complicati e dagli esiti imprevedibili. Da quello celeberrimo di Giulio Cesare a quello di Aldo Moro, di cui recentemente è uscito l’ennesimo libro, questa volta di Claudio Signorile e Simona Colarizi. Quello di Giacomo Matteotti non è da meno benché ne conosciamo le trame e possiamo dire con assoluta certezza che ad ammazzare il segretario socialista furono i fascisti alle dipendenze dei più stretti collaboratori di Mussolini. Dopo due processi, di Chieti nel 1926 e di Roma nel 1947, e fiumi d’inchiostro versati, ad incominciare dai memoriali dei protagonisti della vicenda, ancora oggi ci si chiede se il delitto fu pianificato come tale o se fu l’esito imprevisto di un’aggressione feroce conclusasi tragicamente con la morte.
Lo storico che più di tutti insiste sulla premeditazione è Mauro Canali, il quale, nel suo ultimo libro, Il delitto Matteotti, non ha dubbi: il mandante fu Mussolini, il delitto fu premeditato, i motivi vanno cercati nella politica (eliminazione del più valido e valoroso oppositore del fascismo) e negli affari (questione Sinclair Oil, la compagnia petrolifera americana che era in trattative col governo italiano per effettuare perforazioni alla ricerca di petrolio nel Veneto e in Sicilia, un affare nel quale erano coinvolti uomini del potere e delle istituzioni, fino a lambire la Corona). Secondo Canali Matteotti avrebbe dovuto rivelare lo scandalo petroli nella seduta alla Camera dell’11 giugno. A quella data Matteotti non doveva arrivare.