Il sodalizio tra gli scienziati padovani Gabriele Falloppia e Melchiorre Guilandino

     Delle numerose opere che portano il suo nome solo le “Observationes anatomicae (1561), scritte a Padova nel 1557, furono pubblicate durante la sua vita (Venezia, ed. Marco Antonio Ulmo, 1561). Tutte le altre opere furono pubblicate postume dai suoi allievi che ne raccolsero le lezioni e forse anche appunti autografi. Le sue osservazioni anatomiche si basavano sulla dissezione del cadavere umano, non soltanto di adulto, ma anche di bambini di diverse età e di feti in varie epoche di gestazione, completando la ricerca con la dissezione di animali di specie diverse e introducendo così nuovi metodi di studio, cioè la Anatomia Comparata e la Embriologia che saranno poi sviluppate dai suoi allievi Girolamo Fabrici d’Acquapendente e Volcher Koyter.

     I contributi più importanti sono l’accurata descrizione delle tube uterine come chiamate da lui e che tuttora portano il suo nome (tube di Falloppia). Altri contributi sono quelli sull’organo vestibolare e i suoi canali, la chiocciola e le finestre rotonda ed ovale; il canale per il nervo facciale detto canale o acquedotto di Falloppia, i muscoli piramidali dell’addome, la descrizione dei plessi nervosi cardiaci, i muscoli estrinseci dell’orecchio, la descrizione e la classificazione dei nervi cranici, i muscoli dell’orbita e il muscolo elevatore della palpebra superiore. Se l’anatomia è il campo in cui il Falloppia eccelse, degno è anche il suo impegno in altri campi come quello della farmacologia tanto che Benedicente lo dichiarò “uno dei più illustri farmacologi del XVI secolo” (A. Benedicenti: Malati, medici e farmacisti I, Milano 1947, pg 565). Importanti anche gli studi sulle cure termali “De medicatis aquis atque de fossibus (1564) e i suoi studi sulla sifilide (De morbo gallico, 1563).

     Falloppia fu il primo a descrivere un rudimentale preservativo (una guaina di lino, lavabile e riutilizzabile, impregnata di una soluzione salina o disinfettante e sostenne l’uso di tali guaine per prevenire la sifilide (morbo gallico o morbo italico, mal francese o mal napoletano). Falloppia riferì di aver testato questi preservativi in 1100 uomini, nessuno dei quali contrasse la sifilide.

     E il Gonzati, a proposito di Falloppia, riporta: “E’stato uno dei più grandi anatomisti e dei più celebri chirurghi del secolo XVI. Gran danno però che, rapito all’onore e ai progressi della scienza in età troppo immatura, morisse di circa 39 anni ai 9 d’ottobre 1562”, di polmonite, mentre sperava il trasferimento presso l’Università di Bologna.  Alla morte il Falloppia fu rimpianto da tutti, ma soprattutto dal suo Guilandino, disperato perché vedeva sfasciarsi con la morte dell’amico la minuscola famiglia che avevano insieme costruito (Favaro 1928) e teneva nella sua casa un ritratto dell’amico sotto al quale aveva fatto scrivere “Salve Falloppia, il più grande tra i medici della Scuola Padovana” (Favaro 1928). Negli ultimi anni le sue condizioni di salute lo indebolivano sempre più, soffriva di una malattia cronica dell’apparato respiratorio con frequenti riacutizzazioni, anche a causa del suo lavoro da svolgersi soltanto in spazi gelidi e durante l’inverno. Chiese aiuto all’amico Ulisse Aldrovandi (scambio epistolare negli anni 1559-1562) per ottenere la cattedra di medicina clinica o teorica a Bologna, ma le cose andavano per le lunghe e solo nel 1563 si sarebbe potuto avere il suo trasferimento, ma la morte arrivò prima nel 1562.  Venne seppellito al cimitero della Basilica del Santo, lato nord, e questa doveva essere una sepoltura provvisoria in attesa del monumento. Ma quando la Veneranda Arca del Santo decise di aprire la porta proprio dove era stato seppellito il Falloppia fu necessario traslare la tomba del celebre chirurgo. Forse sarebbe stata quella l’occasione per erigergli il monumento, ma come riporta Zaramella: “Mancavano il progetto e pure i soldi”. Le ossa furono messe nel deposito laterizio del prof. Melchiorre Guilandino. Nel 1902, l’Orto Botanico, ad opera dell’allora prefetto Pier Andrea Saccardo, nel chiostro della magnolia presso la porta meridionale, nel retro della cappella di S. Felice, detta anche di San Giacomo, affisse una lapide che riporta: “Hic sepulta fuerunt ossa Gabrielis Falloppia (1562) et Melchioris Guilandini (1589). Hortus patavinus tantorum virorum memor et gratis. P(osuit) MCMII “. Ma la lapide porta “sepulta fuerunt” e non “sepulta sunt”, e questo fa supporre che la lapide è posta sul luogo “ove prima erano” i resti dei due scienziati, lasciando da pensare “ma ora non sappiamo ove siano state riposte” come scrive Zaramella.

     Falloppia nel 1554 a Padova conobbe Melchiorre Guilandino (Melchior Wieland).  Costui era nato nella Prussia orientale (Konigsberg) nel 1520. È probabile che nella città natale si sia laureato in Medicina. Venne in Italia e latinizzò il nome in Melchiorre Guilandinus (Guilandino o Guilandini). Fu a Roma dove conobbe l’ambasciatore veneto presso la Santa Sede, il patrizio Marino Cavalli, uno dei Riformatori dell’Università di Padova. Questi lo portò con sé in Veneto nel settembre 1554 e lo introdusse nell’ambiente universitario padovano. Guilandino fece amicizia con Falloppia che lo accolse in casa sua sita nell’attuale via Cesare Battisti prima e poi in via del Santo e strinse con lui un sodalizio (e forse un’intima amicizia) che durò fino alla morte. E Favaro dice: “Guilandino diverrà l’amico suo indivisibile, il quotidiano compagno al quale rimase legato in vita e in morte “. Nel 1558, Guilandino fece un viaggio in Oriente e al suo ritorno, nel 1561, fu nominato prefetto dell’Orto Botanico, carica che mantenne per 23 anni fino alla morte, aggiungendo dal 1564 l’incarico di professore di Botanica e di Lettore di Materia Medica. Alla sua morte, avvenuta nel 1589, regalò i suoi libri alla Repubblica Veneta e precisamente alla Biblioteca Marciana.

     Quando Guilandino morì, il 25 dicembre 1589, fu sepolto nel Chiostro del Capitolo di S. Antonio. In quegli stessi anni la tomba di Falloppia era stata demolita per allargare la porta settentrionale della Basilica e le sue ossa vennero poste da una mano pietosa nella tomba del compagno. Al contrario della tesi di G. Favaro, che nella sua biografia su Falloppia (1928) colloca la doppia sepoltura nel 1700, Visentin afferma che probabilmente i due siano stati riuniti a fine Cinquecento: questa nuova testimonianza deriva dal confronto tra le testimonianze storiografiche (Tommasini, Gonzati) con i nuovi dati derivanti dall’esame antropologico sui resti della coppia, eseguito durante la ricognizione fatta dal prof. Vito Terribile Viel Marin nel 1996.

     E Zaramella, a proposito della morte di Melchiorre Guilandino, dice: “Nell’attesa del monumento solenne in Basilica, fu buttato là, sotto un cumulo di laterizi nel retro della cappella di S. Giacomo senza una scritta, sempre in attesa del monumento con solenne iscrizione che non fu mai elevato. E qui lo raggiunse il Falloppia […], poi scomparvero tutti e due: una triste ed amara sorte per i due sommi scienziati che tutti ci invidiano”. Eppure, il Gonzati riporta che un certo “Benedetto Giorgi (personaggio del XVI sec. in rapporto con l’orto botanico patavino, ndr), di lui erede professandosi affezionatissimo al quondam signor Melchiorre Guilandino, che recò gran lume e splendore a questo Studio, particolarmente nella medicina, preferendo questa città fra i molti onoratissimi e ricchissimi principi e re, chiede la licenza di erigere un monumento simile a quello del Bembo, in quel pilastro della chiesa del Santo che è tra l’effige del predetto cardinale Bembo ed il pulpito. L’istanza fu tosto esaudita, ma il designato monumento non venne eretto”. E mons. Tommasini ci assicura che il sepolcro del Guilandino stava nel primo chiostro, detto da noi del Capitolo, e “che più tardi furono in esso deposte eziandio le ossa di Gabriele Falloppia”.

     È a Padova che Falloppia e Guilandino si incontrarono, studiarono, si confrontarono, convissero e morirono.

     “Il Mattino di Padova” del 28 settembre 2023 scrive: “Falloppio e Melchiorre una storia d’amore omosessuale nella Padova del Cinquecento”. Articolo di Nicolò Menniti-Ippolito: l’anatomista e il direttore dell’orto botanico si amavano: sono sepolti insieme al Santo di Padova. Un romanzo li racconta.  Gossip tra Gabriele Falloppio (1524-1562) e Melchiorre Guilandino (1520-1589). E ancora sul “Corriere del Veneto” del 2 novembre 2023, un articolo di Marianna Peluso dal titolo “Falloppio e Guilandino, gli scienziati sepolti insieme: mistero d’amore da cinque secoli. Padova, nella Basilica di Sant’Antonio, lapide unica in memoria di una amicizia speciale. I frati dicono erano in sintonia e allora li associarono anche dopo morti. Grandi amici o innamorati pazzi? Erano amicissimi, ecco perché li associarono anche dopo morti, si legge in un’opera inedita custodita dall’Ordine dei Frati Minori Conventuali nella Basilica di Sant’Antonio. La storia non ci dà prove.  Se davvero ci fosse stata una relazione amorosa avrebbero esposto una lapide matrimoniale? Per tenere fede a un giuramento d’amore eterno o mera casualità?” 

     E Michele Visentin, bibliotecario specializzato in digital humanities all’Università di Padova, riporta alcune prove che fanno supporre una relazione sentimentale tra i due scienziati. Nel 1562 alla morte di Falloppia, Guilandino mise sulla tomba una commossa epigrafe che recitava “Falloppia, in questa tomba non verrai sepolto da solo, con te viene anche la nostra casa”.  E poi non a caso Guilandino seminò nell’orto botanico due specie vegetali completamente sconosciute in Italia: il girasole (Xeliantus annus) e il lillà (Syringa vulgaris); non fu una scelta casuale perché uno rappresenta il viaggiatore energetico e spavaldo e l’altro lo studioso fragile e generoso.

     Secondo Francesca Thellung di Courtelary, autrice del romanzo “Il medico di Istanbul” (editore Giunti, 2023), “Si tratta di una relazione amorosa al punto che, quando Guilandino, durante il suo viaggio in Oriente, fu rapito e ridotto in schiavitù dai corsari ottomani, che avevano depredato la nave su cui viaggiava per le sue ricerche scientifiche, Falloppia non esitò a riscattarlo a sue spese per l’ingente somma di 200 scudi d’oro. C’era una relazione sentimentale tra i due?”.   E ancora: “Falloppia era un bersaglio facile, non frequentava donne e altro […] e tutto è bastato ai suoi biografi per farne un misogino incallito e dare una spiegazione scientifica alle sue condotte. Né può escludersi che le tendenze misogine da Lui manifestate avessero alla base una ipoplasia degli organi genitali (Favaro 1928).

     Il botanico Mattioli era molto amico del Falloppia, ma mal tollerava la convivenza con il Guilandino con il quale era in gran contrasto; e non potendo attaccare sul piano scientifico e professionale l’amico Falloppio, cominciò a diffondere dettagli sulla sua vita privata come nell’epistola del 1558 indirizzata a Ulisse Aldrovandi in cui scriveva, a proposito di Falloppia: “Imperò che ama forse più i vitii del suo Guilandino, et galanteria di così gentile hermafrodito, che la verità et le virtù mie” (Raimondi 1906).  E Visentin dice “Questa lettera […] e nuove testimonianze come lo scambio epistolare di alcuni studenti dell’epoca che danno per assodato la relazione tra i due faranno capire meglio  il rapporto di ‘intima amicizia’ che legava i due studiosi. E qui hermafrodito non è usato in senso letterale, ma per indicare chi svolge la funzione del pathicus nel rapporto omosessuale. Alla fine Falloppia per evitare ogni ulteriore scandalo, non senza sofferenza, consigliò al Guilandino di partire per l’Oriente e gli diede del denaro”.

     E il Gonzati così racconta  di  Melchiorre Guilandino: “Nato a Konigsberg nei principi del Cinquecento, non solo si gloria la Prussia, ma il nostro Liceo segnatamente che l’ebbe a primo dei professori che tenesse pubbliche e speciali lezioni di Botanica nell’Orto dei semplici. Il desiderio di erudirsi in una scienza a cui si sentiva fortemente da natura inclinato, lo condusse a viaggiare per vari paesi d’Europa; e mercè le raccomandazioni e gli aiuti di Marino Cavalli nobil veneto, visitò eziandio gran parte dell’Asia e dell’Africa. Ma il mondo intero pareva poco alla immensa curiosità che lo spingeva in traccia di cose nuove. Per ciò, non contento di quanto aveva osservato nel continente antico, era venuto dall’Egitto nella Sicilia, ed ivi s’imbarcava per la Spagna coll’intendimento di far vela verso l’America, quando la sua nave fu predata dai corsali, ed egli condotto schiavo ad Algeri. Lo seppe il Falloppia che lo volle riscattare ad ogni costo per l’ingente somma di 200 scudi d’oro. Grato all’amico benefattore, Melchiorre se n’venne a Padova, dove, morto che fu l’Anguillara, prefetto all’Orto dei semplici, nel 1561 il veneto Senato chiamò il Guilandino e tre anni dopo gli conferiva solennemente la cattedra di Botanica, la prima istituita in Europa. Visse fino al 1589. E Zaramella a proposito della morte di Melchiorre Guilandino dice “nell’attesa del monumento solenne in basilica accanto al Bembo, fu buttato là, sotto un cumulo di laterizi nel retro della cappella di San Giacomo senza una scritta, sempre in attesa del monumento con solenne iscrizione, che non fu mai elevato. E qui lo raggiunse il Falloppia […] poi scomparvero tutti e due: una triste ed amara sorte per i due sommi scienziati, che tutti ci invidiano”.

Bibliografia

G. Ongaro, Gabriele Falloppia a 450 anni dalla morte, in “Padova e il suo territorio”, 2012.

Galeno nacque a Pergamo, in Asia Minore, nel 129 d. C., e morì in Sicilia nel 216. È stato un medico romano che ha dominato la medicina occidentale fino al Cinquecento, fino ai tempi del Vesalio. A Galeno sono attribuite 4000 opere, ma a noi ne sono pervenute solo 108, una parte in lingua originale greca e una parte nella traduzione araba.

Berengario da Carpi (1466-1530), medico ed anatomista, studiò medicina a Pavia e poi a Bologna dove insegnò dal 1502 al 1527. Nel 1529 si trasferì a Ferrara, alla corte di Alfonso I d’Este, in qualità di chirurgo. Morì a Ferrara il 24 novembre 1530.

Girolamo Fabrici d’Acquapendente, anatomico, chirurgo e fisiologo italiano, nacque ad Acquapendente (ora in provincia di Viterbo) intorno al 1533; compì gli studi di medicina tra il 1554 e il 1559, fu allievo e successore di Gabriele Falloppia nella cattedra di anatomia all’Università di Padova. Costruì il famoso teatro anatomico di Padova (1594). Morì il 1619 e fu seppellito nella Chiesa di S. Francesco a Padova, senza nessuna effigie di riconoscimento, insieme con la moglie (Violante Vidal) morta un anno prima.

Volcher Koyter (1534-1576) anatomista e naturalista olandese, allievo di Falloppia.

Nicolò Menniti-Ippolito: docente di storia e filosofia nei licei; giornalista del Mattino di Padova

A. Benedicenti, Malati, medici e farmacisti, Vol. I, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1947 p. 565.

Francesca Thellung di Courtelary, nata a Roma nel 1962, laureata in storia della lingua italiana, insegna materie umanistiche nei Licei; è appassionata di storia della medicina. “Il medico di Istanbul” è il suo romanzo d’esordio, editore Giunti, 2023.

Pietro Andrea Mattioli, umanista, medico, botanico italiano, Siena 1501- Trento 1577. È stato l’autore di uno dei più grandi successi editoriali del secolo. I suoi “Commentari a Dioscoride”, stampati a Venezia in più di venti edizioni, erano un manuale utilizzato da farmacisti e medici per il riconoscimento dei semplici “sostanze di origine vegetale, animale e minerale utilizzate nella cura delle malattie”. Mattioli parlava male di Anguillara, ma poi non vedeva l’ora di attaccare Guilandino che a sua volta non vedeva l’ora di attaccare il Mattioli “il Dio dell’erbario”, come usava ironicamente definirlo.

C. Raimondi, Lettere di P.A. Mattioli ad Ulisse Aldrovandi, in “Bullettino senese di storia patria”, 1906.

Ulisse Aldrovandi nasce a Bologna l’11 settembre 1522 e muore a Bologna il 4 maggio 1605. È stato un naturalista, botanico ed entomologo italiano rinascimentale. Nel 1548 fu a Padova per studiare logica, filosofia, medicina, matematica. Nel 1549 tornò a Bologna e si laureò in filosofia e Medicina nel 1553. Insegnò alla cattedra di Lettura dei semplici e nel 1568, su sua proposta, il Senato bolognese istituì l’orto botanico che poi diresse per 38 anni. Morendo e non avendo eredi lasciò il suo intero patrimonio scientifico alla città e all’Università di Bologna. È considerato da molti il padre della storia naturale moderna.

Giardino dei semplici: i primi orti botanici coltivavano delle piante medicinali che allora costituivano la maggioranza di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura e che quindi erano semplici.

Giacomo Filippo Tommasini nacque a Padova il 17 novembre 1595; studiò teologia e compì il dottorato nel 1619; è stato vescovo cattolico, letterato, storico ed erudito italiano. Amico del cardinale Barberini che lo propose al papa Urbano VIII quale vescovo di Cittanova d’Istria ove morì il 13 giugno 1655.  Scrisse “Illustrium Virorum Elogia iconibus exornata”. Patavii Pasqurdi Donato e co., 1630.

Orto Botanico di Padova: nasce il 1545 su sollecitazione del medico e professore Universitario Francesco Bonafede (1474 – 1558).

Luigi Anguillara è stato un botanico italiano, vero nome Luigi Squalermo, nato ad Anguillara Salazia (Bracciano) nel 1512. Nel 1546 divenne il primo prefetto dell’Orto Botanico di Padova costruito nel 1545, incarico che tenne fino al 1561; abitava presso l’orto e teneva lezioni con studiosi di tutta l’Europa. Le sue ricerche lo portarono a fare viaggi in varie città italiane, in Grecia, Francia, Asia Minore e sviluppò una particolare conoscenza delle piante mediterranee. La sua unica opera è “Semplici” che scrisse tra il 1549 e il 1560 e fu pubblicata a Venezia nel 1561; in essa descrive 1540 piante e le loro proprietà medicinali. Aveva relazioni con i più importanti botanici e farmacisti di allora, tranne che con Pietro Andrea Mattioli che esprimeva giudizi sprezzanti nei suoi confronti. Falloppia scrisse al duca di Ferrara Alfonso II d’Este, suo amico, una lettera di lodi nei confronti dell’Anguillara al quale subito il duca ferrarese gli offrì un posto di professore a Ferrara che Anguillara accettò immediatamente visto che lo stipendio era maggiore e che aveva undici bocche da sfamare. In realtà la lettera del Falloppia era un pretesto per togliersi di mezzo l’Anguillara e avere il posto libero per il suo amico Melchiorre Guilandino che divenne il secondo prefetto dell’Orto Botanico di Padova. Anguillara visitò la Puglia nel 1560 e nel 1567. Morì a Ferrara il 1570 forse a seguito di una epidemia di peste.

Marino Cavalli (1500-1573), nato e morto a Venezia, fu un uomo politico e diplomatico e a più riprese 1550-1558, 1560-1562, 1570-1572 fu riformatore dell’Università di Padova cercando di dare, specie negli studi di Diritto e di Medicina, una organizzazione più moderna come primo passo di un processo di rinnovamento dello stato veneziano.

www.academia.edu, Falloppio e Guilandino. Una liaison dangereuse nella Padova del Cinquecento di Michele Visentin.

G. Favaro (1877 – 1954) si laureò in medicina a Padova nel 1901; nel 1920 diventa professore di anatomia umana normale a Messina e il 1924 si trasferisce a Bari; nel 1926 passa a Modena dove rimane per 22 anni ad insegnare fino al 1947 quando fu collocato fuori ruolo per limiti di età. Morì nel 1954.  Scrisse anche “Gabriele Falloppia modenese. Studio biografico”, Modena, Tip. Ed. Immacolata Concezione, 1928.

Francesco Bonafede, botanico e medico italiano, nacque il 1474; inizialmente docente di medicina, ma poi nel 1533 venne nominato alla cattedra “Lettura dei Semplici”, disciplina che corrisponde all’attuale Botanica. Si impegnò per la creazione dell’Orto Botanico a Padova nel 1545. La direzione però fu affidata a Luigi Anguillara e ignote sono le circostanze e i motivi perché il Bonafede, che sembrava la persona più adatta, non ebbe la direzione della nuova istituzione. Continuò l’insegnamento fino al 1549, quando si decise di esentarlo a 76 anni per l’età avanzata. Privato totalmente dello stipendio, si ridusse in estrema povertà e cieco e malato morì il 15 febbraio 1558 forse nella sua “casa con horto e terra da drio posta nel borgo Santa Croce”.

Pier Andrea Saccardo nacque nel 1845, botanico e micologo; si laureò a Padova in Filosofia nel 1867, ma i suoi interessi erano naturalistici e si occupò della flora micologica di tutte le regioni italiane, di quella europea e di quella mondiale. Nel 1879 gli fu conferita la cattedra di Botanica all’Università di Padova e sempre nel 1879 divenne direttore dell’Orto Botanico di Padova. Tra le sue opere ricordiamo  “Mycologiae Venetae Specimen” del 1873 e  “Sylloge fungorum omnium locusque cognitorum” (1882-1912) la sua  più importante opera in 25 volumi. Morì il 12 febbraio 1920.

Biblioteca Marciana ovvero Biblioteca di San Marco è una delle più grandi biblioteche italiane e la più importante di Venezia. È stata fondata tra il 1537 e il 1588 dall’architetto Jacopo Sansovino. Nel 1603 La Serenissima impose a ogni stampatore veneto di depositare presso la biblioteca Marciana una copia di ogni libro stampato.

B. Gonzati, La basilica di sant’Antonio di Padova descritta ed illustrata. Ed. A. Bianchi 1863, vol II, pp. 194-195 e 221-222.

P. Manuzio (1512-1574), editore tipografo ed umanista italiano.

Discoride Pedanio è stato un botanico e medico greco antico, vissuto nella Roma imperiale al tempo di Nerone. Ha scritto La “Matera Medica”, divisa in cinque volumi in cui ha riunito tutti i medicinali appartenenti ai tre regni della Natura. Non risulta che nel mondo latino l’opera ebbe grande fortuna, probabilmente perché oscurata in quel periodo dall’opera “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio.

G. B. De Toni, Alcune lettere di Gabriele Falloppia ad Ulisse Aldrovandi, Estratto da “Atti e memorie della Regia Deputazione di storia varie patrie per le province modenesi. Editore Vicenzi, 1913.

G.B. De Toni, Melchiorre Guilandino, pp.  73-76 in “Gli scienziati italiani dall’inizio del Medioevo ai nostri giorni. Repertorio Bibliografico dei filosofi, matematici, astronomi, fisici, chimici, naturalisti, biologi, medici, geografi italiani. A cura di Aldo Mieli vol. I. parte i, Roma Editore A. Nardecchia, 1921.

V. Zabarella, Guida inedita della Basilica del Santo. Quello che del Santo non è stato scritto. Padova, Centro Studi Antoniani, 1996.

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