Telecamere

di Paolo Vincenti

Tra esigenze di sicurezza e diritto alla privacy, ci dibattiamo ogni giorno nel dubbio assillante se sia giusto che la nostra vita, spiata da migliaia di occhi elettronici soprattutto nelle grandi città, venga monitorata 24 ore su 24 in ogni nostro spostamento. La presenza pervasiva di dispositivi di sicurezza ci rende praticamente ostaggi della modernità, come in una grande Seahaven, l’isola artificiale del Truman show. La paura della criminalità, che è connaturata nella società contemporanea, porta il pubblico e il privato a munirsi di sempre più sofisticati sistemi di controllo e videosorveglianza e determina, come effetto opposto, la conseguenza che nessuno si senta più al sicuro e cerchi di difendersi come meglio può da ladri, assassini ed aggressori, con una corsa ad armarsi che fra poco in Italia ci farà competere con il record di porto d’armi a scopo personale detenuto dagli Stati Uniti. Sicché, dal risveglio fino alla buonanotte, ciascuno di noi vive in una bolla artificiale in cui una miriade di telecamere segue ogni nostro passo, ogni respiro, qualsiasi mossa. Monitorati dagli occhi elettronici, per strada, in banca, nei parcheggi dei supermercati, all’ufficio postale, nei negozi, può venire da pensare alla suggestiva e complottistica tesi del “potere invisibile”. Ma è una suggestione. La totale perdita della privacy invece è una triste realtà, un male necessario per alcuni, una aberrazione per altri.

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