È una giovane coppia di insegnanti – insegnanti per loro scelta al carcere minorile di Lecce –, Anna Grazia D’Oria e Piero Manni, che dà il via alla piccola impresa editoriale. Piero Manni l’avevo conosciuto molti anni prima, insieme con un gruppo di giovani amici leccesi con i quali ci si incontrava per leggere e discutere le “Tesi” del “Manifesto”, quando da Milano, dove insegnavo al liceo Parini, “scendevo” nel Salento per le vacanze natalizie (tra questi amici, oltre alla stessa Anna Grazia, Cosimo Perrotta, studioso di storia economica, Chino Salento, insegnante molto colto e strenuo lettore, Elettra Ingravallo, archeologa del Neolitico): tutti loro avevano appena vissuto il ’68 nell’Università del Salento, e io lo avevo vissuto a Milano, in mesi di forte esaltazione immaginativa e teorica. Echi e confronti tra quelle comuni esperienze hanno alimentato via via i tanti successivi incontri con gli amici salentini. Incontri ai quali quasi sempre Piero Manni dava forma conviviale, convocandoci in una di quelle semplici trattorie di paesi che danno su piazzette con fastose chiese di un barocco fiorito e fantasioso. In particolare Piero Manni aveva una forte attenzione all’area che un tempo si diceva “terzo mondo”, con la mediazione politica di Franz Fanon, ai movimenti di cooperazione, alla questione palestinese. La casa editrice mosse i primi passi pubblicando scritti di Fortini, Leonetti, Volponi, Caproni, ai quali sarebbero seguiti scritti di Malerba Consolo, Loi, Maggiani. Era l’avvio di un’attività editoriale, certamente difficile per il contesto in cui avveniva: si trattava di dare presenza e forma alle ricerche e alle scritture che nascevano nel Sud, ma allo stesso tempo occorreva costruire un catalogo che accogliesse significative voci della cultura nazionale e europea, pur muovendosi al di fuori dei meccanismi della grande industria editoriale. La casa editrice, che prendeva il nome da Piero Manni, sin da subito coinvolse l’attività dell’intera famiglia: Anna Grazia, che tuttora dirige con grande cura la rivista “l’immaginazione”, Grazia, che segue l’amministrazione, Agnese, che, dopo la formazione universitaria bolognese e poi editoriale presso il Mulino, è ora direttrice, e Daniele, che ha seguito in una prima stagione gli aspetti organizzativi e di distribuzione (lo staff familiare si è presto allargato alla presenza molto attiva di Giancarlo Greco). A buon diritto i protagonisti potevano parlare nei primi tempi di “casa editrice” in senso letterale: la casa-abitazione, fisicamente, soprattutto agli inizi, era sede, laboratorio dove il libro prendeva forma e dove era impacchettato per la spedizione.
Ogni catalogo di una casa editrice, dopo alcuni anni, è un universo di idee, di sistemi di pensiero, di invenzioni, di esplorazioni conoscitive: un tumulto di vite e di scritture che fanno una selva fantastica di saperi e di avventure. Ricordo che da ragazzo, proprio a Lecce, giravo di tanto in tanto per le agenzie librarie (allora fungevano da piccole librerie, per quanto ciascuna avesse libri di un solo editore, Sansoni, Einaudi, Mondadori, Vallecchi, ecc.) e chiedevo i grossi cataloghi, che erano gratuiti. Passavo lunghe serate trascorrendo tra i titoli, e immaginando, da quei titoli, avventure e storie e abbandonandomi a catene di pensieri. La lettura dei cataloghi ha fatto parte della mia formazione. Chissà, mi dicevo, se un giorno anch’io scriverò un libro il cui titolo finirà in uno di questi cataloghi.
Il catalogo dei quarant’anni di Manni, è ormai folto di titoli: ogni titolo, una sua storia. Quel che caratterizza l’insieme è la ricerca costante di un equilibrio tra lo spazio concesso alle nuove esperienze di scrittura, l’attenzione ad alcuni temi di rilievo politico e sociale, la presenza di alcuni scrittori di consolidata notorietà. Equilibrio difficile, certo, ma questa finora è stata la sfida più forte. In questo equilibrio si inserisce la scelta della poesia – autori diversi per forme di ricerca letteraria –, l’attenzione alla prosa teatrale, al racconto e al romanzo, infine la mai dimessa cura dell’intervento saggistico sia a carattere per dir così storico e classico sia di attualità politica. In un così ricco catalogo sarebbe facile prelevare ora dei nomi preferiti o dei nomi assai noti, o quei nomi e libri di rilievo, ma è la curiosità del lettore che può scoprire, e indugiare sull’uno o sull’altro dei molti scrittori presenti. Voglio ricordare solo un libro, voluto da Piero Manni, e molto diffuso: una raccolta delle poesie apprese a memoria sui banchi di scuola e tolte dai sussidiari d’epoca, Che dice la pioggerellina di marzo, introduzione di Piero Dorfles.
Piero Manni è scomparso nel 2020, ma la sua figura non è solo fondativa, è ancora attiva nelle scelte editoriali. Attivo è il suo sguardo animato da forte curiosità intellettuale e insieme rivolto alle condizioni di diseguaglianze proprie del Sud, e del Sud del mondo, attivo è quel suo meridionalismo interrogativo, di ricerca, di confronto. Ricordo, di Piero, il senso sempre vivo delle proprie radici in terra contadina. Custodiva con cura una memoria dei costumi e della lingua, e spesso nei nostri incontri confrontavamo voci e immagini che salivano dalle nostre diverse e insieme prossime esperienze di cultura contadina e artigiana. I nostri due paesi d’origine sono molto vicini, sebbene il suo, Soleto, appartenente alla koiné linguistica grika, il mio, Copertino, al confine di quell’area, già di lingua romanza, ma toccato, per contiguità, da voci di quel lessico, e soprattutto segnato dalle stesse tradizioni e condizioni di vita. Quel sapere – di memoria linguistica e di animazione paesana, di sapienza contadina e di ironia discreta – trascorre nella scrittura di Piero Manni. Se si aprono i suoi racconti (Millanta facce, raccolta postuma, rappresenta bene il suo cammino di narratore), ci si trova dinanzi a una scrittura che porta nello sguardo antropologico una leggerezza affabulatoria, nella lingua mossa da venature espressioniste una dimensione speculativa, nell’evocazione di un mondo rurale l’attenzione agli intrecci malavitosi che di quel mondo hanno dissipato la stessa memoria.
Il simbolo della casa editrice è un graffito del Neolitico presente nella Grotta dei Cervi a Porto Badisco: un segno, somigliante a una croce greca con un vuoto al centro, che con estensiva e immaginosa interpretazione potrebbe indicare quattro figure intente a conversare intorno al fuoco. Accanto al simbolo il nome Manni: una radice, una presenza.
[“DoppioZero” del 14 giugno 2024]