di Paolo Vincenti
“Il libro in una mano, la bomba nell’altra”- Negrita
L’immagine dell’Ayatollah Khamenei che arringa le folle a Teheran con il corano in una mano e il fucile nell’altra è emblematica. Trasmessa in tutto il mondo, rende bene l’idea, con la sua alta carica simbolica, di quello di cui si impasta una teocrazia come l’Iran. Dio e guerra, le scritture e la crociata. Una teocrazia come quella guidata dagli Ayatollah rappresenta una regressione dell’umanità allo stadio bestiale, con la sottomissione delle donne, la repressione del libero dibattito, il soffocamento del dissenso e delle differenze, la persecuzione di gay, lesbiche e trans, è l’involuzione politica del mondo sciita.
Il discorso di Khamenei me ne ha fatto tornare alla mente un altro.
Nel 1979, l’Iran divenne una teocrazia. Io avevo otto anni. Da paese apparentemente libero e aperto al dialogo, l’Iran precipitava nell’oscurantismo e nella guerra santa, lo scià di Persia Reza Pahlavi veniva destituito e si insediava l’Ayatollah Khomeini. Tutto il mondo per me allora passava attraverso quella piccola scatola che campeggiava nella sala da pranzo ed i commenti di mia madre e mia nonna che ci stavano sedute davanti, assorbendo noi, come in un flusso continuo, peregrini e vagolanti pensieri ronzanti nell’etere.