Ne esce fuori un affresco vario, ricco, articolato che ci fa conoscere aspetti della vita privata di Oltuski e attraverso di essa anche alcuni momenti della storia di un popolo, nonché alcune figure leggendarie della storia di Cuba, viste “da vicino”, attraverso le dirette testimonianze dello stesso autore e di altre persone che li conobbero. I ricordi, infatti, vanno dalle vicende famigliari (in un racconto rievoca la figura del nonno polacco ucciso dai tedeschi) a quelle di carattere privato, dalle esperienze lavorative a quelle politiche e governative. Ma ovviamente i ricordi più emozionanti del libro (e anche i momenti più intensi per il lettore) riguardano la figura del Che e quelle di Fidel Castro e Camilo Cienfuegos, altro famoso guerrigliero, tre personaggi che fanno parte ormai della storia, i quali però qui sono visti soprattutto dal lato umano, così come sono state conosciuti da Oltuski e da altri uomini e donne di Cuba.
Ed è soprattutto il ricordo del Che che ritorna insistentemente nella memoria di Oltuski e in queste pagine, come scrive lui stesso:
“Mi perseguita il ricordo del Che. Mi succede spesso. Gli anni trascorsi accanto a lui hanno plasmato il mio modo di essere e di pensare, come anche Fidel. Quante notti abbiamo trascorso insieme discutendo su come costruire un mondo migliore. Eravamo così giovani! Nessuno aveva esperienza su come si dirigeva una fabbrica, una proprietà, un’attività commerciale e men che meno un governo, imparammo a suo tempo, il nostro obiettivo era la giustizia sociale, la felicità dell’essere umano”. (p. 153)
Che Guevara, a cui sono dedicati ben quattro pezzi del libro e la cui immagine figura sulla copertina del libro in una rielaborazione elettronica, è uno dei miti del Novecento. Per quelli della mia generazione, poi, che frequentavano le scuole superiori intorno al Sessantotto è stato una figura-simbolo. Ricordo che un mio compagno, in seconda Liceo, diceva di volere andare in Bolivia per combattere a fianco del Che che, com’è noto, venne ucciso nel 1967. La foto del suo cadavere, steso “coi piedi avanti come il Cristo del Mantegna”, per dirla con Bodini, è una delle immagini più iconiche (come usa dire) del secolo passato.
Io accettai con interesse e curiosità di presentare Pescando recuerdos, che mi permetteva di conoscere un amico del famoso rivoluzionario e di saperne qualcosa di più sul lato umano. Stesi il mio intervento che poi pubblicai sul n. 7/8, del 2006, della rivista “Crocevia” (l’articolo dal titolo I ricordi di un rivoluzionario: Pescando recuerdos di Enrique Oltuski, si può leggere anche su questo sito). Fra l’altro, in esso, per caratterizzare il libro scrivevo:
“Ecco, così incominciano ad affiorare i ricordi (perché ‘ricordare è tornare a vivere’, scrive Oltuski) e, a seconda del tipo di ricordi, il tono della narrazione cambia: ora è commosso, ora divertito, ora severo, ora quasi epico. Lo stile dei racconti è quasi sempre asciutto ed essenziale e ricorda quello dei narratori italiani meridionali del Novecento, come Silone, Bernari, Jovine. D’altra parte, in questo libro si respira, per così dire, aria salubre di neorealismo non solo per ragioni stilistiche ma soprattutto per la voglia di rappresentare una realtà, quella di Cuba, con un forte impegno di natura morale. È bene chiarire però che da queste pagine è escluso completamente l’intento propagandistico, come era nei canoni del realismo socialista, anche se la passione politica è ancora molto forte. C’è semmai un senso di giustificata soddisfazione per quello che si è fatto a favore di un popolo le cui condizioni di vita sono notevolmente cambiate in questi ultimi decenni e quindi anche una profonda partecipazione, un’intima adesione ai fatti narrati, che è l’aspetto che colpisce di più (forse perché in Italia non siamo più abituati da tempo). È significativa, a questo proposito, la dedica del libro, nella quale anche la figura del leader carismatico di Cuba, Fidel Castro, viene umanizzata e riportata a quella di un nonno come tutti gli altri, così come lo vedono i nipoti di Oltuski. ‘È questo il messaggio del libro’, scrive l’autore, in maniera assai chiara, mi sembra”.
La presentazione ebbe luogo l’8 marzo 2005 presso l’Università del Salento, nella Sala Ferrari di Pal. Codacci Pisanelli, e replicata il giorno successivo a Ostuni presso l’Auditorium della Biblioteca comunale. Purtroppo non esiste la registrazione delle due serate. Ricordo però che a Lecce si sviluppò un vivace dibattito col pubblico presente e Oltuski, nelle cui parole si percepiva ancora quello spirito rivoluzionario che l’aveva animato nella giovinezza, nel suo intervento accennò anche al rapporto tra Cuba e gli Stati Uniti. A questo proposito, rispondendo a una domanda, disse che negli USA quello democratico e quello repubblicano sono solo apparentemente due partiti. In realtà entrambi costituiscono un unico movimento, espressione delle élites dominanti, economiche e sociali.
A Ostuni, dopo la presentazione, si andò a cena in un ristorante e ciò che mi colpì maggiormente furono i bicchieri di Chivas, a cui fece aggiungere cubetti di ghiaccio, che Oltuski beveva tra un boccone e l’altro come se fossero acqua fresca.
Alla fine della serata, prima di salutarci, mi diede il suo biglietto da visita e appose la seguente dedica sulla mia copia del libro: “Dedico a Lucio Giannone | estos recuerdos de como nos | hicimos revolucionarios | para construir una vida mejor | Enrique Oltuski” (“Dedico a Lucio Giannone questi ricordi di come siamo diventati rivoluzionari per costruire una vita migliore”).