I sepolcri superstiti degli Orsato e dei Piazzola nella Basilica del Santo a Padova

     E il Gonzati scrive: “I Morti non recano ai politici né paura né invidia”. Nel 1873 il rappresentante della nobile famiglia, Alberto Papafava dei Carraresi, assessore ai lavori pubblici del comune di Padova, acconsentì a che quel sepolcro fosse asportato dalla piazza che risultò sgombra da ogni monumento, eccetto la statua equestre del Gattamelata e la tomba di Antonio Orsato; quest’ultima si trova addossata al muro esterno del lato settentrionale della chiesa ed è la sola che fu sottratta alla generale demolizione delle altre avvenuta nel 1763. La tomba si compone di una grand’arca di marmo rosso, elevata dal suolo per tre gradini e protetta dalla volta di un arco, sorretto da due colonne. Reca nel prospetto due scudi con l’orso rampante che è lo stemma della famiglia e l’iscrizione: Antonius Ursatus Divini Humanique  iuris fidus interpres et orator inisgnis hic iacet.  Nobilibus de Ursatis resti tutum. Sul basamento: COMES Sertorius Ursatus de Ursatis restauravit 1764.

     “Per testimonianza dello Scardeone, oltre ad Antonio, in questo avello furono ancora deposti nel secolo XVI, e Gaspare di lui fratello, e Marco nipote che, dotato di ingegno non ordinario, sventuratamente fu colto da morte immatura”. La presenza di detta tomba “di marmo rosso è incastrata sul fianco della basilica” –  dice il Gonzati – “non offende l’occhio”. E Giuseppe Gennari, a proposito dell’edicola funebre dell’Orsato, aggiunge: “Sertorio Orsato, ultimo della linea detta di s. Francesco, si oppose alla demolizione, anzi fecelo risarcire”.

Tomba di Rolando da Piazzola.

     Ma un’altra tomba, sita nella piazza antistante la basilica, resta a sinistra dell’oratorio di S. Giorgio ed è quella di Rolando da Piazzola. L’ordine di atterrare tutte le tombe del 1763 riguardava anche questa, ma “una monaca di Sant’Agata – sono parole del benemerito Gennari – la quale nulla aveva di comune con Rolando, fuorché la patria e il cognome, gagliardamente si adoperò perché fosse conservata, e contribuì alle spese per ristorarla e chiuderla con rastrello di ferro. Era suor Maria Teresa Piazzola abbadessa del ven. monastero di S. Maria Mater Domini”.

     Rolando da Piazzola, celebre nella storia della Repubblica Padovana sul principio del sec. XIV, illustre giureconsulto, nel 1300 era registrato il suo nome nel catalogo dei giudici di questa Università e nel 1303 presiedeva lo stesso Collegio; morì “sul chiudere del 1323 o poco dopo finisse la vita; scendendo ad abitare la pacifica stanza che da buon tempo aveva apparecchiata a sé ed a’ suoi (sibi et suis”). È possibile che questo mausoleo che egli dedicava alla memoria d’un figlio amatissimo morto nel fior degli anni, Guidoni filio, clarissimo iuveni, sia stato edificato nel primo decennio del 1300 o in quel torno. Inoltre, nel mausoleo sono seppelliti altri familiari come   Rolando e un’Aicarda, entrambi figlioli morti prima del celebre padre. Il sarcofago di stile antico tardo romano è formato da un’arca quadrilunga sorretta da due pilastrini; ai lati estremi due genietti piangenti. Il tutto accanto ad elementi gotici come il tegurio archiacuto.

      Ma l’ordinanza non risparmiò il sepolcro di quello che sembra essere stato il primo ad essere seppellito nella basilica del Santo. Gugliemo da Camposampiero era stato addestrato alle armi, e ancor giovane raccolse armi ed armate e assalì Castelfranco, feudo di  Alberigo, fratello di Ezzellino. Gugliemo aveva sposato Amabilia dei Dalesmanini, giurati nemici di Ezzellino da Romano che lo fece incarcerare nella fortezza di Angarano (vicino a Bassano) e dopo nove o dieci mesi di prigionia fu c[R1] ondotto a Padova e decapitato nella pubblica piazza il 14 agosto 1251 all’età di 26 anni. Il corpo dell’infelice giovane rimase alcuni giorni senza sepoltura, finché, vinta dalla pietà,  Daria da Baone, vedova di Gherardo di Camposampiero, accompagnata da sua figliola Maria e da altre donne sconsolate e piangenti, raccolse il corpo e lo mise in un’arca della chiesa di s. Antonio e poggiata a destra di chi entra  nella Basilica. Vi rimase infissa sul muro fino al 1763, quando, col pretesto di abbellire la facciata e la piazza, fu senza misericordia demolita. Era un sepolcro semplice, senza alcun ornamento se non lo scudo con il leone rampante che era lo stemma dei nobili Camposampiero. In quello stesso sepolcro nell’aprile 1556 furono collocate anche le ossa di Girolamo Camposampiero, valentissimo giureconsulto. E i suoi eredi pienamente assentirono che fosse tolto di là. E l’abate Gennari ne pianse la perdita avvenuta sotto i suoi occhi, ne lasciò inscritto la memoria; e mise al posto del sepolcro una lapide, e concludeva: “E quando si apprenderà di rispettare i monumenti antichi sì utili   alla storia? Quando di lasciare in pace le ceneri de’ padri nostri?

     “Ma la distruzione delle arche e dei sepolcri non avveniva solo a Padova, ma tante chiese d’Italia (Gonzati vol. I) che ricchissime erano di monumenti sepolcrali collocati per terra, furono poi dispogliate e tutttor si dispogliano per lastricare il sacro suolo. Anche la Basilica di Padova ebbe non poche perdite, ma fu una delle meno danneggiate in quanto non ci fu bisogno di rinnovere per intero il pavimento, in quanto le arche e i mausolei per lo più poggiavansi  o s’infiggevano sulle pareti o più di sovente erano collocati  negli spaziosi chiostri”.

Bibliografia

B. Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova descritta ed illustrata, Padova, Ed. A. Bianchi, 1853, vol.II pp. 19, 28-31, 150-151;

G. Gennari; Memorie inedite delle tre  chiese di Padova Cattedrale, S. Giustina e Santo, Tipografia del Seminario 1892;

Sertorio Orsato (1617-1678), storico ed erudito italiano, nobile padovano, professore di fisica all’Università di Padova, fu studioso di epigrafia latina. Scrisse importanti, lavori come Li marmi eruditi (Padova, Ed. Pietro Maria Frambotto, 1669), dedicato allo studio dei monumenti da un punto di vista filologico e il De Notis Romanorum, un manuale per la lettura delle iscrizioni dedicate alla spiegazione degli acronimi e delle abbreviazioni epigrafiche.  Scrisse anche Le grandezze di S. Antonio di Padova (ed. Paolo Frambotto, 1663),  Storia di Padova, Padova Ed. Pier Maria Frambotto, 1678.

Antonio Orsato, patrizio padovano, era figlio del dottore in legge e rimatore Reprandino Orsato; si laureò a Padova il 1465 e si iscrisse nel collegio dei giureconsulti. Docenza in diritto civile nello studio patavino in sostituzione di Gabriele Contarini, che era passato ad locum nobiliorem. Nel 1472 era presidente del Collegio dei legisti e fu eletto per riformare gli statuti. Fu anche un celebre oratore. Morì il 17 aprile 1497. Lo Scardeone lo indica come “praestantissimus iureconsultus et orator elegantissimus”.

Gaspare Orsato (? -1509) era fratello di Antonio ed era indicato dallo Scardeone come “non minus doctus aut clarus”. Si laureò in utroque iure nel 1471, iscritto al Collegio dei giuristi e attestato come professore di diritto civile dal 1481.

Bernardino Scardeone fu un religioso e letterato italiano, nato il 1482 e morto il 1574. La sua opera più importante è De Antiquitate Urbis Patavii et claris civibus Patavinis libri tres, in quindecim classes distincti, Basilea 1560.  Si tratta di un dizionario biografico delle personalità di Padova dall’epoca romana al 1559; è una fonte storica di grande valore.

Rolando da Piazzola, giurista, umanista e politico italiano, nato intorno al 1265, iscritto al collegio dei giudici; svolse una importante attività politica diplomatica; “morì sul chiudere del 1323 o poco dopo finisse la vita scendendo ad abitare la pacifica stanza che da buon tempo aveva apparecchiata a sé ed a’ suoi”.

P. Selvatico, Guida di Padova e sui suoi principali contorni, Padova, Tipografia e Libreria di F. Sacchetto, 1869. Nato il 1803 a Padova dal marchese Benedetto Bartolomeo e dalla nobile Maria Bolgeni, iniziò a studiare giurisprudenza senza mai laurearsi, poi si dedicò all’architettura sotto la guida di Giuseppe Jappelli. Insegnò all’Accademia delle Belle Arti di Venezia di cui fu anche preside. Spese ogni energia per la conservazione degli affreschi giotteschi nella cappella degli Scrovegni e per la valorizzazione dei beni artistici della sua città. Fondò l’Istituto d’arte di Padova, che porta il suo nome. Mori il 1880.


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