di Rosario Coluccia
Non siamo nati per scrivere e leggere, ma siamo dotati di un cervello che è capace di meravigliosi adattamenti. L’uomo ha imparato a parlare forse da 150-180.000 anni. Da un periodo molto più limitato, più o meno da 5.500 o 6.000 anni, ha inventato la scrittura, quasi contemporaneamente e indipendentemente in due territori diversi, in Egitto e in Mesopotamia, la terra tra i fiumi Tigri ed Eufrate, corrispondente a parte di Siria e di Iraq, un tempo culla della civiltà a cui facciamo riferimento, oggi teatro di guerre e di atrocità di ogni genere che ci lasciano quasi sempre indifferenti. Invenzione geniale. Qualcuno riesce a inventare il sistema per tracciare con rudimentali strumenti (agli inizi una pietra appuntita o altro oggetto idoneo allo scopo) dei segni su un supporto in grado di fissarli (la parete di una grotta, argilla, coccio, poi via via elementi più evoluti). Qualcuno altro è in grado di interpretare quei segni e di capirne il significato. Con questa invenzione vengono superati i limiti di spazio e di tempo connaturati alla fragilità umana: non più solo hic et nunc ‘qui e adesso’, come succede alla lingua orale. Nella storia dell’umanità la nascita della scrittura, svolta rivoluzionaria, risponde alla capacità di comunicare con altri valicando le restrizioni di spazio e di tempo intrinseche all’oralità. Consegnando il proprio pensiero allo scritto l’uomo supera la contingenza, tende all’eterno.
All’inizio supporti rudimentali, poi mezzi più adatti allo scopo, poi carta e pergamena, poi manoscritti, a volte di pregio e raffinati, impreziositi da miniature. L’avvento della stampa (poco dopo la metà del Quattrocento) e la fabbricazione di libri in serie rappresentano un nuovo salto qualitativo di enorme importanza. Il libro a stampa, riproducibile con una certa facilità e meno caro rispetto a quello copiato a mano, produce una spinta culturale senza pari, anche in ambienti socio-economici non elevati. Fasce sempre più ampie di popolazione possono più agevolmente accostarsi ai libri e al sapere in essi contenuto, sia pure con progressione lenta. Il livello di civiltà di una società si misura dalla quantità di libri in circolazione e dal numero dei lettori. La popolazione adulta di una società che non legge regredisce ineluttabilmente verso forme di analfabetismo o di semianalfabetismo.