Detox

di Paolo Vincenti

Qualche settimana fa mi si è rotto lo schermo del telefonino, che è stato in assistenza per un giorno e mezzo. Panico. Un giorno e mezzo, però, di digital detox. Un giorno e mezzo ansiolitico, certo complicato da gestire, ma in cui avrei potuto riscoprire la bellezza dell’essere disconnesso. Avrei potuto. Ma l’incalzare degli eventi ha avuto la meglio e addio riflessioni sulla decrescita felice, nessuna bucolica nostalgia, veruno elogio della lentezza. Bramavo la cybersickness, cioè quello stress tecnologico che normalmente deprechiamo. Incredibile, no? Eppure anelavo di tornare a quel sotterraneo e strisciante ronzio dato dai mille apparecchi digitali in attività intorno a noi ogni giorno, a quel caos del millennio che, compagnevole, è diventato parte di noi, connaturato all’homo technologicus odierno (leggete il bel libro Homo technologicus di Giuseppe Longo, Ledizioni Editore, 2012). Proprio così, nessuno è immune dalla tecno dipendenza, non c’è niuno che possa dire “io di qui non passo”. In questa sorta di globale playstation network che è la nostra società, il rischio è proprio questo. Si tratta di una debolezza strutturale che genera fragilità emotiva nell’uomo, psicopatologie come schizofrenia, attacchi di panico, ansia, nevrastenia. È il lato oscuro del progresso. Forse, la tecnopolis contemporanea è una città vivibile senza stress solo dagli adolescenti, cioè quelli che sono nati già nella imperante babele (la generazione zeta, insomma), ma è dura per i più maturi, Ad ogni modo, tutti webeti, schiavi senza catene e vittime della contagiosa sindrome della connessione. Siamo messi così male? La risposta va da sé. Se uno che, insomma, ha un quoziente intellettivo più o meno nella media e qualche libro in vita sua lo ha letto e continua a leggerlo, si ritrova in astinenza come un disgraziato eroinomane qualunque per una giornata buca, ciò significa che il mondo ha preso davvero una pericolosa china e non si risolleverà. Questo pensavo, chiacchierando ieri con alcuni colleghi nella pausa caffè e sul medesimo rifletto con i pochi amici che avranno la bontà di leggermi su questo blog.

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *