Chi ben mi conosce sa, insomma, che non c’è gusto a parlarmi (o meglio: a sparlarmi) di quel tale o tal altro amico, di quella tal signorina o signora, o di quel politico e politicante, o di chicchessia, al semplice scopo di esercitare la sottile arte del dire senza dire, essendo più pronto a respingere l’argomento – per mia congenita noia o repulsione e disinteresse – che a svilupparlo. E se proprio bisognerà parlarne, tra l’interlocutore e me se ne parlerà, infine, come di ogni cristiano che fosse idealmente presente insieme a noi, quasi potesse dialogare anche lui, e difendersi dalle nascenti illazioni e/o supposizioni, per lo più arbitrarie e gratuite.
Qualche tempo fa, in un casuale incontro con X.Y., mio antico compagno di giochi, galatinese d.o.c. come me, e che come me risiede lontano dalle nostre amate contrade (non ho ben capito se con nostalgia per la nostra città e il Salento pari alla mia, che è da tempo al massimo stadio dell’inguaribilità), è venuto a esercitare ‘lu malangu’, pensando probabilmente (e improvvidamente) di trovare in me il partner ideale per un bel “taglia-e-cuci” su un vecchio amico comune…
Voleva perfino convincermi (e nulla vieta che potesse anche avere ragione) che “quello lì” s’era rivelato, fin da ragazzino, un bieco approfittatore, uno che sfruttava le amicizie, e che si era sposato per interesse. Facendo poi carriera, e arrivando a ricoprire in società alcune posizioni di prestigio, ovviamente – a suo dire – del tutto immeritate. Un classico.
Prendendola un po’ alla larga, con modi adeguati e la giusta ironia, ho provato financo a fargli capire che cose del genere sono sempre accadute, tant’è che egli stesso (il ‘malangatore’, intendo) si era trovato in gioventù in una situazione più o meno analoga, facendo delle scelte non proprio irreprensibili. Come dire: Lu còrciu ‘ngiura lu cecatu…
E lui, naturalmente, a difendersi. A giustificarsi. Ad assolversi. Mentre quell’altro nostro amico – del tutto assente, inconsapevole, e lontano chissà dove – non poteva evidentemente chiarire la propria posizione.
Una disparità inaccettabile. Sleale. Ed è questa disuguaglianza, in definitiva, che non mi piace del malangu.
Finché non c’è nulla di veramente censurabile (essendo tutti più o meno pieni di umani difetti), il pettegolezzo può anche essere divertente e stimolante. Oscar Wilde diceva: I fatti miei mi annoiano sempre; preferisco quelli degli altri. E l’ineffabile Giulio Andreotti sentenziava da par suo: A parlare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina.
Quando però, per invidia, interesse o cattiveria, il pettegolezzo diventa falso e calunnioso, offuscando la reputazione altrui, insinuando sospetti, o distorcendo la verità, allora si configura come un vero e proprio reato. Oltre che una smaccata vigliaccheria.
Ci vuole prudenza. Come sempre. La lingua può essere un’arma terribile. Ma l’orecchio e il cuore devono fare da scudo. Non si può né si deve prendere per ‘oro colato’ tutto quello che ci si dice. O tutto quello che, ad esempio, si scrive ed emerge da alcune diffuse riviste di gossip.
Anche se alcune ‘confidenze’ possono solleticare la nostra curiosità, va da sé che l’intelligenza e onestà morale ci devono richiamare all’attenzione e al giusto equilibrio.
Non senza dimenticare che – come diceva Bruce Lee – Più sono vuote le teste, più sono lunghe le lingue.
[“Il Galatino” anno XLVIII n. 19 del 27 novembre 2015, p. 3]