La travagliata vicenda del sepolcro del Gattamelata a Padova

di Rocco Orlando


Tomba del Gattamelata.

Erasmo Stefano da Narni era nato nella cittadina umbra, da cui prese il nome, verso il 1370, da Paolo che aveva un mulino. Il soprannome Gattamelata pare che non gli sia derivato dall’astuzia nell’arte bellica, ma dal nome della madre Melania Gattelli che, quando Erasmo era piccolo, lo chiamava per la sua astuzia innata “Gattin melato”, quindi può darsi che il soprannome gli derivasse dall’associazione delle due parole.

     Il biografo narnese Giovanni Eroli1 dice che il Gattamelata fu così chiamato “per la dolcezza dei suoi modi insieme a grande astuzia e furberia e per il suo parlare accorto e mite dolce e soave”. E ancora l’Eroli sostiene che “nella vita del guerriero sempre agitata, tempestosa, piena di fatica, di disagi, di amarezze e di dolori […], (verso i quarant’anni, ndr) nasce il bisogno di amare e di essere amato, la necessità di avere un rapporto autentico e profondo. In lui si fa strada sempre più forte il bisogno di ricevere attenzione, cura e gentilezza, più in generale amare. Ha desiderio di sperimentare l’opposto della battaglia, del sangue, della morte, ha voglia di coinvolgersi nei sentimenti di pace, serenità e quiete [] e conviensi una donna di cor gentile, delicata, sensibile, buona. Aveva adescato una giovane avvenente ingegnosa, di gentile stirpe, fornita d’ogni bel costume, nomata Giacoma di messer Antonio Beccarini Brunori da Leonessa […], ella avea quei medesimi sentimenti di religione e di virtù, da governare l’animo dell’amante, perciò piacque a costui quale compagna, la desiderò, la chiese e ottenne facilmente. Stante la bellezza reciproca, l’indole e virtù conforme, tutti presagiron felice questo nodo: e lo fu in realtà, perché un amore intimo animò sempre e fiorì loro vita”.

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