Pensava (sognando pensava): molti, forse a ragione, se mai questo racconto sarà pubblicato, identificheranno A. T. con me, Antonio Tabucchi. È il giuoco bellissimo della letteratura mescolare un po’ di sé stessi con la finzione e mi piace poter dire di A. T. quello che pochi, pochissimi, sanno dire di Antonio Tabucchi: ch’egli è uno scrittore italo-portoghese: provenire dal centro del Mediterraneo e sentirsi pure figlio dell’Atlantico, veder nascere in sé e coltivare due anime è quanto mi accade ogni giorno e le due lingue che si rigirano con gusto e con amore in bocca nutrono una vita che si moltiplica in altre vite, che nelle innumeri finzioni possibili e nei suoni così diversi eppure affini, nelle coniugazioni verbali così complesse e belle, nella varietà infinita dei sostantivi e delle loro terminazioni trova gioia e senso.
Maria Helena indossava un grande foulard sul quale dominavano gli azzurri in numerose tonalità e Arpad le teneva la mano, con tenerezza. Di quella città A. T. amava il numero incalcolabile di finestre i cui vetri restituivano bagliori di sole a seconda dell’angolazione da cui si guardava ed è forse corretto dire che, per capire Lisbona, bisognerebbe farsi solo sguardo, totalmente sguardo. Non lo disse ad alta voce A. T., ma la pittrice sussurrò: «Così è, gentile Signore, totalmente sguardo, soltanto sguardo» «E soltanto orecchio», aggiunse la poetessa.
Il frusciare delicatissimo dei garofani rossi nei vasi dei fioristi e nei mazzi adagiati sulle bancarelle si percepiva, ora che A. T. era stato reso più attento, s’intuiva leggerissimo nella piazza.
Quindi salirono a bordo di una Bugatti del ’27 (ovvio, pensò lo scrittore, più che ovvio) – l’autista, che aveva il volto di Marcello Mastroianni, appoggiò le dita sulla chiave d’accensione e partì.
«Sto sognando le cose e le persone che amo», riflettè A. T.,«sto sognando gli istanti che amo».
Adesso era la strada di Sintra, sinuosa nel verde lussureggiante, lunga e serpeggiante e l’auto si fermò a raccogliere una giovane ciclista evidentemente affaticata dalle dure salite: sua moglie da giovane, quando ancora non si erano incontrati, la riconobbe immediatamente A. T.
O poema me levará no tempo
Quando eu já não for a habitação do tempo
E passarei sozinha
Entre as mãos de quem lê
La poesia mi condurrà nel tempo
Quando non sarò più l’abitazione del tempo
E passerò solitaria
Dentro le mani di chi legge
«Dovrò tradurre assolutamente Sophia!» pensò A. T. mentre continuava a sognare «e condividere anche la scrittura con questa ciclista con cui certamente a breve mi fidanzerò: quale felicità! Quando ci si fidanza (quant’è bella quest’ormai inusuale parola…) ci si fidanza con la vita e con le sue promesse; la vedo ancora adesso nel sole di Arles, nel chiostro di Saint Trophime e poi a Pisa, mentre guarda la Cattedrale e la vedo affacciata dal ponte della nave che entra al Pireo. Sophia e Maria Helena e anche Ophélia de Queiroz sono sempre lei, lei nei miei sogni. E c’è Parigi, la città più europea di tutte. La sala di lettura della Bibliothèque Nationale e tutto un pomeriggio passeggiando lentamente lungo la Senna, perché la scrittura si generi e rigeneri e lei accanto a me».
Affaticata, ma sorridente, la giovane entrò in macchina ringraziando e A. T. si accorse che tutti gli altri erano scomparsi e che la graziosa ragazza aveva con sé una scimmietta dagli occhi intelligenti e che davanti all’automobile ricompariva lentamente Lisbona. A. T. teneva il volante tra le mani cambiando marcia con scioltezza.
E sfavillava Lisbona in quel pomeriggio del 25 aprile, come A. T. immaginava avesse sfavillato Vecchiano, dov’era nato, mentre le brigate partigiane entravano nel paese liberato e la guerra finiva.
Fu in quel momento che A. T. si svegliò vedendo subito il profilo di sua moglie staccarsi dalla finestra leggermente aperta per venirgli incontro: gli porgeva una tazza di tè dentro la quale si rifletteva ancora, scintillando, il sole del tardo pomeriggio del 25 aprile 2011 a Lisbona.