Sugli scogli 21. Lettera al mare 3

di Nello De Pascalis

Caro mare,

ti parlo del rumore e del silenzio. Non voglio fare una disamina sulle diverse categorie del rumore, né approfondire gli usi che se ne fanno; tanto meno voglio difendere il silenzio in modo preconcetto. Dico solo che da noi manca la ‘politica del silenzio’; v’è, piuttosto, l’esaltazione del suo opposto, quando una giusta mediazione tra l’uno e l’altro assicurerebbe un’esistenza meno stressata.

“Per chi è molto solo – sosteneva Nietzsche – il rumore è una consolazione”. Nel nostro tempo il rumore, prevalentemente coatto, è niente affatto consolatorio. Basti pensare a quel sistema invalso, tra i venditori ambulanti, di sparare a mille il volume per propagandare le varie mercanzie e agli MB339CD che sfrecciano in orari improponibili, col turbo temporizzato sulle nostre teste. Anche la Chiesa non è da meno: la sveglia mattutina arriva puntuale allo scampanio amplificato della prima messa che irrompe e ti lascia intronato. C’è, poi, quello del mezzodì, riconducibile alla battaglia di Lepanto (1571) e non a funzioni liturgiche; le campane a morto che arrivano alla mente come proiettili acustici e la devastano. O, la Chiesa, le Chiese!  Che iattura, mare, abitarvi accanto! Eppure, il silenzio è stato elemento cardine della pratica religiosa; si pensi ai quaccheri e ai trappisti per comprendere l’uso che se n’è fatto nella cristianità. È tema ricorrente in tutta la storia letteraria, nella poesia, nella narrativa, nella drammaturgia. Il silenzio per riflettere e meditare, per pregare o illudersi di avvicinarsi a sfere elette; come fonte di ispirazione, come ‘nutrimento’. Molti poeti hanno identificato il silenzio con il divino e Gerard  Manley Hopkins è uno di questi: Nulla formate, labbra; siate leggiadre-mute:/è il suggello, il coprifuoco giunto/ da dove tutte le rese vengono,/che solo vi fa eloquenti. Così scrive in Abito di perfezione. E John Keats: Dolci le udite melodie, più dolci/le non udite; dunque voi, soavi/flauti, all’orecchio no, più care all’anima/suonate melodie prive di suono. Belle, vero?

Addio, mare, torno ad annaspare tra ideali frantumati e indifferenze.

Questa voce è stata pubblicata in I mille e un racconto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *