Ma, rispetto a queste vicende dell’eterno melodramma italiano, vorrei proporre un pacata riflessione sulla situazione attuale dell’archeologia a Taranto, una delle maggiori metropoli del Mediterraneo, in particolare nel IV e III sec. a.C., quando era governata dal filosofo e scienziato Archita. Forse bisognerebbe considerare con maggiore cura e sensibilità questi fattori quando si prendono decisioni riguardanti il suo patrimonio culturale! Sino dagli inizi del secolo scorso Taranto era stata identificata come sede della tutela archeologica di Puglia e Basilicata, svolgendo questo ruolo con efficacia grazie alla passione e all’impegno, a volte eroici, dei suoi funzionari. Così, presso l’Archivio della sede tarantina si era andata accumulando una straordinaria documentazione riguardante scavi, scoperte, interventi di valorizzazione. Poi negli anni sessanta del secolo scorso, era stata istituita la Soprintendenza Archeologica della Basilicata e, grazie a Dinu Adamesteanu, la ricerca archeologica in quella regione era divenuta un punto di riferimento internazionale.
Ma Taranto manteneva la sede centrale di tutta la Puglia ed i suoi depositi e archivi continuavano a conservare un patrimonio enorme di reperti e documentazione. Poi qualche anno fa, la Riforma Franceschini aveva realizzato uno dei maggiori disastri per i Beni Culturali del nostro Meridione, creando le Soprintendenze uniche (allora si usava il dotto termine olistiche) e da allora l’Archeologia è stata confinata in una situazione marginale nell’organizzazione dei nuovi Enti di tutela. Da allora Taranto ha perso il suo ruolo centrale e la Puglia è stata spacchettata in una serie di più piccole Soprintendenze “olistiche” a Bari, Foggia, Lecce e Brindisi. Ma per Taranto il Ministro aveva annunciato che sarebbe stata prestigiosa sede della Soprintendenza Nazionale del Mare, lasciando ad essa anche la giurisdizione sul territorio della Provincia di Taranto. A reggere questa nuova struttura era stata nominata Barbara Davidde, una delle più quotate archeologhe subacquee a livello internazionale, la quale, con grande generosità e competenza, aveva messo in opera una serie di iniziative importanti. E, come un positivo auspicio, il suo arrivo era stato preceduto dalla scoperta del relitto, identificato a 760 m di profondità nel mare Adriatico poco più a nord di Otranto, databile agli inizi del VII sec. a.C., il più antico mai rinvenuto nella parte occidentale del Mediterraneo, straordinario documento dei traffici corinzi. La Davidde si era attivata, elaborando un ambizioso programma in una rete di ricerca in cui si configurava una strategia ambiziosa di ricerca sul patrimonio sonmmerso nei nostri mari. Certo tutto senza strutture, né personale specializzato: le anfore del relitto di Otranto erano messe a desalinizzare entro vasche di fortuna poste nel chiostro della sede operativa di S. Antonio. Ma questo non impediva di realizzare progetti come la Mostra del relitto otrantino, e progettare il completamento dello scavo subacqueo, la creazione di Laboratori come quello sulle analisi gascromatografiche dei residui alimentari presenti all’interno delle anfore, per identificare il contenuto trasportato (olio, vino, etc.). Poi, inopinatamente, la Davidde era stata trasferita e tutto si era interrotto: una decisione che faceva presagire quello che poi si è avverato, il trasferimento della sede centrale a Napoli.
Questo fare e disfare significa un enorme spreco di risorse, di energie, soprattutto intellettuali, e di impegno civile, che ingenera una crescente sfiducia nella capacità di un Ministero, così appesantito dalla burocrazia e da altre meno edificanti vicende, di far fronte alle esigenze di questo nostro grande patrimonio. Il nuovo Ministro Alessandro Giuli è persona competente e conosce bene l’archeologia della Puglia (bellissimo un suo servizio su RAI 2 sulla scoperta dell’anfiteatro di Rudiae); sono certo che egli saprà trovare il modo di non mortificare ancora una volta la nobile città di Taranto, mantenendo la sede centrale della Soprintendenza del Mare, dotandola delle risorse necessarie e potenziando la sede territoriale che, in stretta collaborazione con il MArTa, potrà compiutamente esprimere le enormi potenzialità dell’archeologia nella città del Golfo.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 22 settembre 2024]