Ho ritenuto non fuori luogo cominciare l’Introduzione proponendo al lettore la parte iniziale di un racconto ispirato alla famosa leggenda di Tancredi di Altavilla che risparmia la cerva e fa costruire la chiesa abbaziale di Santa Maria di Cerrate. Cercherò di spiegarne i motivi. Il libro parla in prevalenza dei territori della cornice della città di Lecce, secondo l’espressione usata dal De Giorgi, che utilizza anche i termini “anello”, “corona”. Un geografo oggi direbbe: hinterland. Cornice, corona, anello di paesi intorno alla città mi pare siano termini molto più suggestivi; non solo: più legati alla storia, alle radici profonde di tali insediamenti. Corona, anello, cornice – ma potremmo aggiungere “cintura”– sono parole che hanno in sé un’aura di sacro, che rimandano a un monarca, a un principe, a un conte. Quasi tutte le cittadine che qui descriveremo escono dal buio di vicende ignote ed entrano nella storia con l’arrivo dei Normanni e la nascita della Contea di Lecce; oppure, se ancora non esistono come insediamenti stabili, trovano in quell’epoca il terreno fertile per diventarlo, per divenire casali o Terrae. Come ricorda Gino Giovanni Chirizzi nel suo agile esaustivo saggio che apre la sezione Per approfondire, non conosciamo con certezza l’anno preciso di nascita della Contea di Lecce nell’XI secolo. Conosciamo con certezza quello della sua scomparsa: 1463. Una storia plurisecolare, dunque, un periodo temporale durante il quale si verificano cambiamenti profondi negli assetti politici internazionali e nei rapporti tra casali e città. Occorre anche ricordare le parole di Mario Spedicato: «Nel Mezzogiorno durante il Medioevo esistono i feudi abitati e quelli disabitati […] Nel Medioevo il trasferimento dei feudi da un barone ad un altro non segna la vita di una comunità ma quella del territorio (spesso) disabitato di riferimento».* Questa osservazione serve anche a rilevare come, nel suo primo periodo di vita, alcuni toponimi di centri abitati e di loca compaiano e “scompaiano” e sia difficile dire, in assenza di un preciso riferimento cronologico, se in una determinata contrada esisteva o meno un insediamento umano stabile, una comunità. È indubbio però che gran parte dei quindici comuni che qui vengono descritti, (capoluoghi comunali e frazioni, numerose, di essi), esistessero o si siano accresciuti come insediamento stabile in epoca normanna. Di quell’età, al di là dei suoi meriti, il personaggio certamente più famoso, quasi una figura mitica per il grande pubblico, è Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce e per breve tempo sovrano del Regno di Sicilia. Egli, nella storia del nostro territorio, tra Medioevo ed Età moderna, può avere per fama un solo rivale: Raimondello Orsini del Balzo, anzi, una sola rivale: Maria d’Enghien. Per tale motivo abbiamo voluto legare la sua figura – o, almeno, la sua ombra – al contado di Lecce e a Cerrate, in questi ultimi decenni divenuto luogo tra i più famosi e visitati di tutta questa parte del Salento.
Cosimo De Giorgi, nella sua insostituibile opera, descrive due volte, con uno sguardo d’assieme, prima d’iniziare il suo viaggio e parlarne poi in dettaglio, gli abitati e le campagne che circondano Lecce. Lo fa nel primo dei suoi bozzetti (febbraio 1879) che introducono il capitolo “da Lecce a Lizzanello”. È salito sino alla balaustra del quarto piano del campanile del duomo del capoluogo. Guarda ammirato da ogni parte il vastissimo paesaggio che si distende sotto di lui e lo descrive mirabilmente, quasi con entusiasmo. Orti, pometi, giardini, uliveti, masserie, truddwi, (sic). E paesi, paesi e paesi. Dopo aver individuato tre distinte zone di vegetazione distingue due anelli di paesi che circondano Lecce da ogni parte, tranne che a est, verso il mare. Nel primo anello i paesi lontani dalla città da cinque a sette chilometri, collegati da strade che sembrano i raggi di una grande ellisse. Poi altri borghi che entrano a far parte di questa prima linea e sono poco più lontani di quelli che ha elencato in precedenza. «Concentrico al primo anello di paesi ne scorgeremo un secondo, egualmente interrotto dalla sola parte dell’Adriatico»: sono paesi che distano in media dal capoluogo da dieci a tredici km; anche se forse alcuni di quelli che egli nomina distano qualche km in più… Lo stupore di chi abbia potuto guardare dall’alto la meraviglia naturalistico-antropica di quello che era ai tempi del De Giorgi il territorio che faceva corona alla città, assolve qualsiasi piccolissima imprecisione. (Cfr. C. De Giorgi, La Provincia di Lecce, vol. I, pp. 3-9). Il Nostro torna «al punto donde siamo partiti nel principiare le nostre escursioni in Terra d’Otranto» in uno dei bozzetti della parte finale della sua opera: il primo dei tre del capitolo titolato “I paesi della cornice” e datato 1887. Più di otto anni sono passati dall’inizio del viaggio. Un paziente itinerario di storia, arte cultura, tradizioni magistralmente descritti: altro che i viaggi “mordi e fuggi”, le gite organizzate, le crociere, il domenicale girovagare cui oggi siamo abituati! Rileggendo De Giorgi mi è tornato in mente il personaggio di Des Esseintes, protagonista de A ritroso di Joris-Karl Huysmans. Questi riteneva inutile uscire di casa: viaggiava studiando atlanti e resoconti di viaggio altrui. Se avesse potuto leggere i bozzetti di questo grande salentino, li avrebbe sicuramente ritenuti un capolavoro assoluto, un motivo in più per rafforzare il proprio decadente discutibile convincimento. Rammentando la sua ascesa sull’altissimo campanile De Giorgi scrive: «Notammo ancora una doppia corona di paesi tutti intorno a Lecce, eccetto dalla parte dell’Adriatico […] Nella prima vedemmo i paesi di Surbo, Trepuzzi, Novoli, Carmiano, Magliano, Arnesano, Monteroni, San Pietro in Lama, Lequile, San Cesario, San Donato, Lizzanello, Cavallino e Merine. Nella seconda gli altri di Torchiarolo, Squinzano, Campi, Salice, Veglie, Leverano, Copertino, Galugnano, Caprarica, Castrì, Vernole, Pisignano, Acquarica di Lecce, Acaja, Vanze, Strudà, Melendugno, Borgagne. L’insieme di tutti questi paesi forma quella che ora diciamo la Cornice della nostra città; e comprende una popolazione di 71,227 abitanti, secondo l’ultimo censimento del 1881». (C. De Giorgi, La Provincia di Lecce, vol. II, pp. 294-295).
Gran parte di questi centri sono inseriti in questo nostro volume, di alcuni altri abbiamo parlato in precedenti volumi. Come più volte evidenziato e cercato di chiarire, la scelta d’inserire questa o quella cittadina in contesti che non sono stati quelli della cornice,è dovuta a diverse ragioni, più vicine a noi, e, ovviamente, a motivi editoriali. Se i 15 comuni di cui qui si parla hanno originato un libro così voluminoso, si figuri il lettore di quante altre pagine esso sarebbe cresciuto se ci fossero stati anche Carmiano, Campi, Salice, Veglie, Leverano, Copertino, Melendugno… Il criterio solo geografico, inoltre, non avrebbe reso giustizia alla specificità storica, (Copertino, ad esempio, era sede di una propria contea), né a quella economico-produttiva delineatasi nel Novecento, né, infine, a quella istituzionale-amministrativa, (i GAL, le unioni dei comuni), che hanno legato in anni assai più recenti le diverse comunità.
A Ovest e a Sud di Lecce il De Giorgi scorge distintamente una specie di mezzaluna – oggi si riconosce un po’ meno, a causa delle profonde modifiche del paesaggio e dell’antropizzazione del territorio – un avvallamento che ha il suo vertice superiore nella zona di Arnesano e quello inferiore nella zona di San Cesario. È la Cupa, nome già presente negli antichi documenti e rintracciabile nella toponomastica di tanti luoghi di quell’area. Essa è «Il Tivoli dei leccesi, disteso sopra un piccolo avvallamento di suolo. Le linee sono un po’ monotone ma l’insieme bello, sopratutto nelle prime ore del giorno. In fondo all’orizzonte il verde scuro degli ulivi lascia spiccare il contorno delle cupole di Lequile, le case bianche, le chiese e i campanili di Monteroni, di Arnesano, di S. Pietro in Lama, di Lequile e di San Cesario, paesi lontani qualche miglio l’uno dall’altro». (C. De Giorgi, La Provincia di Lecce, vol. I, op. cit., p. 42). In tempi più recenti, sulla base di considerazioni antropo-geografiche di vario tipo, nell’area della cosiddetta “Valle” sono stati inseriti altri centri (Campi, Novoli, Carmiano, Cavallino, San Donato e relative frazioni, ad eccezione di Castromediano, frazione di Cavallino, totalmente inserita nell’area urbana di Lecce). Ciò perché: «Nonostante sia stata già riservata all’area della Cupa una certa attenzione da parte di noti studiosi locali, come si è riferito, non appare ancora ben definita con esattezza né la sua estensione tanto meno i suoi confini che costituiscono ancora oggi oggetto di studi e di ricerche. Del resto, lo stesso De Giorgi che più di altri si è interessato con maggiore frequenza allo studio della Cupa, non fornisce dei limiti ben precisi. Anche tra la popolazione locale si evidenziano talune incertezze circa l’individuazione della Cupa che alcuni limitano solo alla ristretta area in prossimità di Arnesano in cui si registra la depressione massima (17 m), occupata per lo più da terreni coltivati, mentre altri ne allargano notevolmente il tracciato confinale comprendendo l’intero territorio dei centri ubicati intorno ad essa». (L. Nicoletti, La valle della Cupa, p. 20).
Tutti i Comuni in precedenza citati ad eccezione di Campi – sono soci del GAL “Valle della Cupa”; ne fanno parte anche Surbo, Trepuzzi, Squinzano e Galatina, i cui territori poco c’entrano con la geografia della Cupa. Vale però la pena osservare che l’adesione a un GAL è frutto di legittimi e condivisibili interessi contingenti delle comunità rappresentate dalle varie Amministrazioni comunali e dalle aziende di quei territori, che in questo modo – come più volte detto nei precedenti volumi – possono sviluppare progettualità che aspirano a essere finanziate dall’Unione Europea. Per completezza d’informazione occorre dire che Vernole e Castri fanno parte del GAL “Isola Salento”, che comprende prevalentemente comuni della Grecìa, e che Caprarica fa parte sia del GAL “Isola Salento sia di quello “Porta a Levante”. Più consolidata, storicamente, è l’appartenenza a una determinata diocesi. Tutti i territori dei comuni descritti in questo volume confinano con quello di Lecce – quello di Surbo è addirittura un’isola circondata da quello del capoluogo – ad eccezione di San Donato, Caprarica e Castri di Lecce, sorta di cuscinetto tra l’area della Grecìa (descritta nel quarto volume di questa serie) e quella dei comuni confinanti con Lecce. Questi ultimi fanno parte della diocesi di Otranto, a differenza di tutti gli altri dodici. Ulteriore prova del fatto che trovare un criterio univoco per descrivere in maniera divulgativa ma approfondita la nostra provincia – avendo deciso di prescindere dalle scelte, talvolta banali, delle guide turistiche – è impresa non facile, forse impossibile. Ogni metodo adottato può aprire il fianco a qualsiasi critica. Specialmente a quelle di chi non ha avuto la possibilità di leggere l’intera opera.
Dopo l’ampia parte illustrata, L’ombra di Tancredi, come nelle altre occasioni, si avvale del contributo degli specialisti con i saggi inseriti nella sezione Per approfondire; chiude il volume un’Appendice. Negli approfondimenti, oltre al già citato lavoro di Gino Giovanni Chirizzi che ricostruisce la storia della Contea di Lecce attraverso i suoi protagonisti, il lettore trova gli interessantissimi scritti di Aldo Caputo sui Domenicani di Cavallino e Villa Convento; di Pietro Medagli sull’affascinante sito delle “acque dormienti”: Le Cesine; di Antonio Romano sul dialetto di quest’area gravitante su Lecce. Apre l’Appendice un suggestivo articolo di Antonio Errico sullo “sguardo lungo e profondo” con il quale Cosimo De Giorgi ha saputo guardare il Salento; segue l’intervento di Salvatore Capodieci che rievoca la meritoria attività svolta dal Circolo Culturale “Galileo” di Trepuzzi a Cerrate, negli anni in cui l’abbazia se ne stava quasi dimenticata e silenziosa a ridosso della frequentatissima strada che porta al mare di Casalabate. Chiudono il volume due miei racconti: il primo dedicato alla figura del notissimo Sigismondo Castromediano, il secondo all’assai meno conosciuto arciprete liberale surbino Pietro Valzani (1775-1829), anch’egli a lungo “ospite” delle galere borboniche.
* Le origini di Carmiano intervista a Mario Spedicato in «Carmiano News» del 15 febbraio 2024. Abbiamo parlato di Carmiano nel precedente volume, sesto della serie, Le contrade di Bacco.
(2024)