Il Convito delle stagioni di Antonio Prete

Costante è la riflessione sul tempo a cui è dedicata un’intera sezione del libro dal titolo Tempo rubato, contenente dieci prose. Tutto ciò che esiste scorre in immagini, a volte in immagini di sogno, come nella prosa Un addio, che il poeta traduce in parola, secondo i modi della registrazione in presenza; oppure in assenza, attraverso il ricordo, cui è dedicata la prosa Intorno al ricordare: come sempre in Prete, l’immagine si accompagna al pensiero. Nella Favola sono di scena il presente, il passato e futuro, che dialogano fino a cedere al silenzio, mettendosi, leopardianamente, in ascolto del vento “che tra gli alberi del bosco raccontava le sue storie”. Tutto sarebbe un nulla se non ci fosse lo sguardo del poeta e la sua parola. Ne Gli alfabeti leggo: “Le lettere di tutti gli alfabeti / cercano un suono che un poco somigli / al soffio che fa essere le cose.” (vv. 13-15). Il mondo per noi umani non ci sarebbe se non ci fossero le lettere.

Spesso lo sguardo del poeta si leva verso l’alto, verso gli infiniti mondi siderali che gli uomini dimenticano, presi dai loro affanni quotidiani, e che invece costituiscono l’infinito limite della contemplazione umana. Le vie del cielo, i pianeti e le stelle appaiono distanti eppure così vicini, per nulla estranei, un mantello trapunto infinito che si apre sopra di noi, come un orizzonte inarrivabile, “un sipario su altri universi” (Malinconia di un cartografo). E dunque, mai occorre dimenticare che “Corre la terra con il suo dolore / negli spazi, tra mondi innumerabili.” (Il pianeta dalle molte lune, vv. 12-13).

D’altra parte, i convitati alla mensa delle stagioni si muovono in spazi, che, come ho detto, il poeta ha conosciuto, nei quali è vissuto e poi sognato, e che in ogni caso hanno lasciato impressa nella memoria la loro immagine indelebile: le crete e i calanchi del paesaggio senese, coi loro filari di cipressi, la faggeta, la campagna salentina coi suoi olivi, ahimè, ormai secchi! (si legga la poesia Xylella) e la terra rossa e riarsa (la sezione finale, La lengua, lu ientu, tre poesie in dialetto copertinese, è un omaggio alla terra natia) e poi le strade di Milano, di Parigi, i luoghi visitati del Messico o del Brasile, e altri ancora.

Il poeta non dimentica il dramma della storia presente che s’apre dietro il sipario delle immagini immediatamente percepite: le guerre, le migrazioni, il Covid. In Di là dal sipario appare l’angelo della Distruzione: “Ma di là dal sipario vagano ombre. / Vagano tra i crolli, nel fumo, vagano / tra le rovine. Corpi insepolti, intorno. / Il confine è un altare, voragine di vittime. / Tra i fuochi e gli urli vola, presaga / del trionfo, la Distruzione” (vv. 5-10). La sezione Lezione di tenebre, di cui fa parte la poesia citata, mira a stigmatizzare la follia dell’uomo, che soprattutto negli ultimi anni rischia di trascinare il mondo verso la sua fine: “Si spegne la primavera. / Il mondo corre verso la sua sera (vv. 19-20). Una nota malinconica e triste si leva spesso col canto, come un senso di delusione per ciò che avrebbe potuto essere e non è. Ma anche qui è la poesia che soccorre. Ne Le sillabe, il giorno leggiamo: “Nel cuore del verso, il lampo / di quel che non accadde.” (vv. 6-7). Grande dunque è la forza del verso, che dona all’uomo il desiderio di vivere, secondo quanto il poeta ci dice ne Il mare: “Deve esserci ancora il mare / dopo l’estrema ferita, quando / ripiega le ali d’iride la vita.” (vv. 13-15). La potenza metaforica della parola dota di senso la vita trasfigurata in poesia, la vita fatta parola che accoglie dentro di sé, fiduciosa, il silenzio, come è detto in La parola: “Tu aspetta, la sera, / che come scrigno la parola / s’apra e distenda i suoi silenzi: // un tappeto per il cammino.” (vv. 23-26).

La poesia non manda messaggi, ma al lettore è data facoltà di immaginarli. La parola riecheggia dentro di lui e si fa esegesi, riflessione, ancora poesia. Da questo punto di vista, in conclusione, la poesia, come compendio della vita di un uomo, della sua opera, altro non è che voce che dal libro si propaga in tutte le direzioni, appello al lettore, che, a ben guardare, è il convitato ultimo e definitivo delle nostre stagioni.

[“Via Lepsius”, 16 settembre 2024]

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