Manco p’a capa 222. L’innata biofilia di tutti i bambini

di Ferdinando Boero

La lingua madre si impara ascoltando chi la sa, poi si imitano i suoni, e si comprendono le parole. Poi si formulano frasi brevi, si esprimono concetti e non solo desideri, e si associano tra loro. I genitori si sorprendono che i figli “capiscano tutto”, e agiscano di conseguenza. Nel parlare, se esposti agli stimoli giusti, si usano i vocaboli e li si associano tra loro seguendo le regole grammaticali e sintattiche. Poi si capisce che quei suoni, e le parole che danno loro significato, possono essere scritti. Si impara a leggere e scrivere ancor prima di andare a scuola. L’apprendimento è quindi totalmente induttivo: prima si fa la pratica e poi si imparano le regole. All’opposto c’è l’apprendimento deduttivo: prima si imparano le regole, e poi si applicano. Se si insegnasse a parlare iniziando da grammatica e sintassi, rimandando il parlare a dopo l’apprendimento delle regole, si otterrebbero buoni risultati? Penso che nessuno ci abbia mai neppure provato, tanto è insensata la proposta. A scuola avviene esattamente il contrario (per fortuna i bambini arrivano avendo già imparato a parlare): l’insegnamento è tipicamente deduttivo. Gli scolari, o studenti, vengono esposti a norme per lo più astratte, per poi scodellarle a richiesta, per avere un incentivo dall’insegnante. Se si mette in dubbio l’utilità della procedura arriva la frase fatidica: studia, poi vedrai che ti servirà. L’esercizio di imparare nozioni astratte (dai teoremi alle poesie) viene proposto come un valido allenamento della mente.

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