di Antonio Devicienti
Questa trasmissione radio ha a che vedere con la memoria e con la nostalgia, con le lunghe giornate (e nottate) d’estate trascorse in campagna.
Forse in quanto Salentino, originario cioè dal lembo estremo di Puglia, dovrei avere delle remore a parlarne: le campagne di Puglia significano, da qualche decennio in qua, schiavismo e sfruttamento dei braccianti (e delle braccianti), nelle campagne di Puglia non c’è né idillio né, spesso, lavoro giusto e dignitoso.
Ma la “mia” campagna dell’infanzia e dell’adolescenza è stata un oliveto in cui c’erano anche alberi di fico, macchie di fichidindia, un grande noce e, al centro, una casa di due stanze imbiancata a calce.
Era stato il mio nonno materno, contadino che aveva ereditato e curava con una vera e propria devozione quell’appezzamento di terra, a far scavare una grande cisterna sulla quale aveva fatto costruire le due stanze; durante l’autunno, l’inverno e la primavera quattro canali agli angoli della costruzione convogliavano l’acqua piovana nella cisterna che, durante l’estate canicolare, dava frescura al pavimento e alle due stanze dotate ognuna di una finestrella stretta e collocata molto in alto – l’ombra rendeva sopportabili le ore più calde dedicate al riposo pomeridiano e le eventuali notti torride.
Ci si trasferiva in campagna proprio per sfuggire alla calura che in paese sapeva essere eccessiva e, nei primi anni Settanta, bastavano due lanterne a gas per illuminare le serate – niente tivù, niente telefono.
Dopo cena si giocava a carte e si chiacchierava sul grande tavolo di legno sotto un enorme olivo che, di giorno, garantiva l’ombra necessaria allo spiazzo davanti alla casa; ricordo tuttt’intorno un buio folto e avvolgente, l’odore dei fichi spaccati a metà e messi a seccare sulle “littère” di canne che, a sera, venivano accatastate e ricoperte per essere di nuovo esposte al sole il mattino successivo.
Il sentiero che collegava lo spiazzo davanti alla casa con lo stradone che serviva gli accessi ai vari terreni aveva due curve ed era sterrato: per noi bambini questo significava decine e decine di andate e ritorni con la bicicletta e dover imparare a memoria la collocazione di ogni buca, sasso e, ai due lati, di ogni olivo o fico.
Era il frinire ininterrotto delle cicale lo spazio sonoro del giorno, l’andirivieni felicemente ossessivo sull’altalena (un asse di grezzo legno legato con una corda al ramo più robusto dell’olivo), le voci e le musiche dalla radio a transistor.