Il soffio che fa essere le cose: attraversando “Convito delle stagioni” di Antonio Prete

di Antonio Devicienti

Antonio Prete torna a pubblicare in poesia nella “Bianca” di Einaudi, dopo Tutto è sempre ora, Convito delle stagioni (agosto 2024) dando vita a un libro che non esito a definire di bellissima fattura.

In verità l’eleganza e la musicalità stilistiche, la calibratura delle immagini e dei concetti, la grazia contemporaneamente sapiente e spontanea del dire caratterizzano già anche i libri saggistici e quelli in prosa narrativa, testimoniando una scrittura esercitata nel corso del tempo al fuoco di un’acribia e di una severità nei confronti dei propri testi che non poteva non dare frutti anche in poesia. Ed ecco il nodo: la scrittura si fa scrittura in poesia perché talvolta viene avvertita l’esigenza di dire seguendo ritmi e prosodie che soltanto il testo poetico possiede e restituisce.

«Non c’è pensiero o affetto / che si perda nel nulla. // […] // Niente muore davvero. // […] // O forse questo è solo il sogno / di una metamorfosi. / Un sogno che la parola oppone / al silenzio che la abita, / la materia al vuoto che l’assedia» (Metamorfosi, p. 5) si legge nel primo testo del libro che, nella sua funzione liminare, fa immergere subito nella questione decisiva del rapporto tra silenzio e parola, tra nulla e mondo ché già nel titolo dell’intero libro si coglie la compresenza e la dialettica di un’ispirazione dantesca che chiama a convito temi importanti e ardui (il tempo, l’infanzia, la memoria, la scrittura, la bellezza, il cosmo in quanto tutto ordinato) e di una leopardiana (le stagioni, certo, ma anche le morte stagioni e il rapporto tra il pieno e il vuoto, tra il nulla e l’effimero esistere degli umani, tra natura e civiltà umana, tra universo infinito e mondo terrestre) – benché Convito delle stagioni risuoni del brusio di molte altre voci poetiche, come tra breve si dirà.

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