di Daniele Capone
Si racconta che Dioniso, in visita alle splendide contrade della Magna Grecia, abbia soggiornato a lungo a Taranto, lasciandosi andare – com’era nella sua natura – a stravizi, grandi bevute ed eccessi sessuali di ogni tipo. Capitava spesso che le allegre partecipanti a trionfali banchetti dessero poi alla luce meravigliosi pargoli destinati a grande avvenire. Pare che, in una occasione, sia nato un fanciullo di luminosa bellezza, col viso adorno di una chioma intessuta di pampini e di grappoli d’uva. Ebbro sin da ragazzino, gli capitò di dormire per decenni e decenni sotto i ceppi e i fusti di un rigoglioso vigneto del Tarantino (alcuni sostengono che fosse a Manduria). Gli dei e i loro figli in quel tempo, forse meno tragico dei nostri, non erano soggetti alle leggi fisiche che regolano la natura.
Le rozze legioni romane però erano in agguato. Nel 209 a.C. conquistarono Taranto. Cosa poteva fare un leggiadro fanciullo, figlio di un dio greco amante del vino, se non pensare di recarsi a Roma, l’austera capitale – bacchettona, poco raffinata, poco colta – che si accingeva a conquistare il mondo? Bacco, questo era il suo nome, si mise in viaggio – anzi, per essere più precisi, prese il volo – e si diresse verso est, dove grandi incontaminate spiagge facevano corona a una bellissima vasta terra in cui, qua e là, qualche villaggio spuntava. Il dio giovincello volteggiò verso sud, scrutò da lontano la penisoletta di Gallipoli protesa come la prua di una nave in un mare d’un azzurro incantato, poi tornò verso nord, dove si trova la piana che ora chiamiamo Arneo. Campi, boschi, specchi d’acqua, placide greggi. Il sole del mattino accendeva rossi bagliori sui margini della campagna a ridosso dei piccoli avvallamenti che la punteggiavano. Prima di prendere la via del cielo che sovrasta l’Appennino, Bacco sentì nascere in sé il desiderio forte di fare un regalo a quella pianura che gli sembrava meravigliosa. Si scrollò la folta chioma, in modo tale che molti chicchi d’uva caddero sul terreno sottostante. Dai semi sarebbero nate le viti. Bacco non voleva che la cosa accadesse subito. Il miracolo avrebbe dovuto verificarsi secoli, secoli e secoli dopo, in modo tale che gli abitanti di quelle terre, che avrebbero fatto del vino la loro ricchezza, si sarebbero per forza dovuti ricordare di lui, giovane “irregolare” amante della vita e dei suoi piaceri, cancellato dalle nuovi religioni, dal laicismo, dal progresso della storia. E, sino a qualche decennio fa, solo qualche volta menzionato dagli studenti delle scuole classiche…