di Guglielmo Forges Davanzati
Sono stati resi pubblici i risultati di due importanti report sull’Unione Europea, redatti rispettivamente da Enrico Letta (Much more than a market, aprile 2024) e Mario Draghi. Entrambi si sono soffermati sulla perdita di competitività dei Paesi che appartengono all’Unione rispetto agli altri grandi player su scala globale (USA, Cina, India), individuando una pluralità di cause: fra queste, in primo luogo, il ritardo tecnologico, l’eccessivo carico burocratico, la bassa qualità delle Istituzioni. Secondo l’ultima rilevazione Eurostat del settembre 2024, il tasso di crescita dell’Eurozona a 27, nel secondo trimestre dell’anno, è stato solo dello 0.2%, a fronte della previsione dello 0.3%, aggiungendo la prevedibile recessione tecnica tedesca. In queste ricerche, un tema rilevante attiene anche alla capacità dell’UME di generare convergenza. Può essere, dunque, utile, avvalersi di queste analisi per provare a tracciare un bilancio degli effetti delle politiche per la convergenza – dopo tre cicli di programmazione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020) – sullo sviluppo economico del Mezzogiorno. L’Italia, per l’attuale ciclo di programmazione (2021-2017), è il Paese che riceve la dotazione maggiore di finanziamenti europei e di cofinanziamenti nazionali, con la Polonia, e, al tempo stesso, quello che ne fa l’uso peggiore e che impiega più tempo per realizzarne gli obiettivi.