Storiografi e viaggiatori del passato hanno avuto per la città bella per antonomasia parole piene d’ammirazione. Giacomo Arditi la chiama «bella sposina dello Ionio»[2]. Cosimo De Giorgi la definisce «Siena della Japigia»[3] e «vaga sirena dello Ionio»[4], e ricorda che nessuna città salentina, neppure Lecce, ha avuto tanti storici e cronisti locali quanti ne ha Gallipoli[5].
Che dire? La definizione di “vaga sirena dello Ionio” ci è parsa la più intrigante e l’abbiamo utilizzata per titolare questo nostro quinto lavoro. Lavoro non facile, per numero di comuni e “slalom” imposti dalle limitazioni della pandemia, che ne hanno rallentato i tempi di realizzazione. L’area è vasta, interessantissima, grondante di grecità estinta, che in parte sopravvive nei luoghi trattati nel precedente volume (L’eco di Bisanzio. Galatina e la Grecìa salentina, 2021), al quale questo idealmente si collega, perché in passato l’isola greca salentina si spingeva da Gallipoli a Otranto. Ogni centro ha una sua storia, talvolta importante, e non tutti hanno gravitato per davvero intorno a Gallipoli, almeno nelle epoche più antiche. Ma a Gallipoli, tutti i centri qui trattati fanno degna corona. Da alcune pagine del Giorgi, in seguito ampiamente citato, ciò apparirà a ciascuno perfettamente chiaro.
Ma non ci si può addentrare in altri discorsi senza ricordare ciò che Cesare Brandi dice di Gallipoli, con la sua scrittura che ad ogni capoverso richiama la grande lezione della così detta prosa d’arte. «Per chi non lo sapesse, Gallipoli, con la sua fonte a due facce, l’una greca, l’altra rinascimentale, è come una fortezza ridotta a giardino d’infanzia su un mare tenero, basso, trasparente. Torno, torno, i bastioni la cingono con falciature varie, e sopra c’è la strada, una bellissima passeggiata pensile. Taranto vecchia è qualcosa di simile, ma Gallipoli, più grande, più amena, più luminosa, sembra quasi galleggiare sulle acque. […] Pure non so quanto tempo resterà a Gallipoli questa pace, ora che improvvisi grandi alberghi sono sorti […]. E se anche Gallipoli fu fortezza, niente più lo ricorda, con quei bastioni ridotti a passeggiata: né certamente le sue case, dalla fronte liscia e dai colori rosei e giallini, che nulla hanno di accigliato o di militare […]. Dai vari punti della passeggiata sui bastioni si scoprono quieti e allineati aspetti della cittadina: mantengono, fra quei due riscontri omologhi di mare e di cielo, una compostezza di pittura non proprio antica, ma di quella dei primi dell’Ottocento, vera e falsa al tempo stesso, che sta alla pittura come le bambole stanno alla scultura. Se allora si pensasse a Comacchio o a Chioggia si sbaglierebbe. L’acqua non entra in Gallipoli: i bastioni non lo permettono. Resta, Gallipoli, una città di terra dentro il mare, avventurata sul mare, circondata dai suoi bastioni come un bambino nella carriola»[6].
E non è inopportuno riportare ciò che si legge in un bel vecchio volume edito dal Reader’s Digest, divulgativo certo, come divulgativa e scientificamente ineccepibile vuole essere questa narrazione del Salento fatta di grafiche e parole, di studio e di amore per questo incomparabile lembo d’Italia. «La trama viaria di Gallipoli è formata da un groviglio di vichi corti e stretti che serpeggiano in ogni direzione, senza mai trovare respiro in una autentica piazza. La visione offerta dalla città è quindi molteplice e frazionata in una serie di “corti”, comprese tra semplici case popolari intonacate su una gamma di colori delicati: dal rosa tenue, al giallo paglierino, al verde acqua. Il gusto locale per la decorazione barocca compare anche in questa edilizia piuttosto povera, ma si fa decisamente ridondante e fastoso nei palazzi nobiliari».[7] Ciò valga per le tavole che Pascali ha dedicato a scorci del centro storico, a monumenti e a palazzi di Gallipoli.
Scriveva De Giorgi, trattando d’un altro aspetto: «Eppure, a differenza di molte piccole città marinare e commercianti dell’Italia, qui ferve del pari la vita intellettuale. L’ingegno degli abitanti è caldo e vivace come un raggio del nostro sole, come il fuoco del nostro vino! Gallipoli ha dato alla luce molti uomini dotti nelle scienze e nelle lettere, e soldati forti e coraggiosi»[8]. Gallipoli, dunque, non è solo una città “bella”; è stata, con il concorso dei centri vicini, anche un faro di cultura in epoche, purtroppo, lontane. Il saggio di Emilio Filieri, che pubblichiamo nella sezione Per approfondire, fornisce al lettore curioso ogni elemento che dà veridicità a questa affermazione in relazione a tre intellettuali gallipolini che operarono tra Seicento e Settecento.
Tuttavia l’area gallipolina, che tanto ha dato alla cultura, non è solo splendide coste, splendide spiagge, incomparabile mare (sono lambiti dallo Ionio i territori comunali di Taviano, Racale, Alliste, Sannicola, Galatone, oltre che ovviamente di Gallipoli, che in questo mare letteralmente si tuffa), sono anche le Serre salentine che le fanno corona. Da quest’area proveniva parte dell’oro che Gallipoli commerciava dal suo porto: straordinarie quantità di olio e di vino, alla cui importanza, nella sezione degli approfondimenti, dedichiamo l’agile, interessantissimo saggio di Mario Spedicato, che si sofferma su eventi cruciali della storia gallipolina, e il non meno interessante scritto di Francesco Mastrolia, dovizioso di dati relativi alla produzione di olio e di vino, ma che soprattutto si occupa dell’industria gallipolina dei “contenitori”: le botti, fondamentali per il commercio dei preziosi liquidi salentini.
Le Serre: la gran parte del territorio di numerosi comuni si sviluppa su queste alture. Esse sono un po’ come una quinta di teatro che proteggono il luogo della sirena, della città e del suo mare carico di storie e di leggende. I turisti, lo stuolo di stranieri che ormai trascorrono le vacanze nella Marina di Mancaversa o nelle accoglienti strutture che punteggiano la costa più a sud o a nord, verso Sannicola e Galatone, non pensano alla frazione di Taviano o a quelle di Racale o di Alliste: raccontano di essere stati al mare di Gallipoli, la città che rappresenta, a loro insaputa, un pezzo fondamentale della storia del nostro Salento. Di non minore importanza è la storia di altri luoghi come, ad esempio, quella di Alezio o di Casarano: una risorsa che deve finalmente diventare una calamita d’interessi, un’opportunità per un turismo di qualità, non solo estivo. In tale direzione credo si stiano muovendo molti amministratori locali, non solo quelli di Gallipoli.
Come per i precedenti volumi, la delimitazione della macroarea salentina da “raccontare” non si basa solo sulle affinità che si possono rintracciare nella storia dei singoli comuni, ma anche, e forse soprattutto, sugli oggettivi legami attuali dei vari centri. Ho avuto già modo di dire che l’appartenenza a una determinata Unione dei Comuni o a un particolare Gruppo di Azione Locale è molto significativo per cogliere la comunanza d’interessi che le popolazioni esprimono attraverso i loro rappresentanti cittadini: l’Unione Europea privilegia il finanziamento di progetti presentati non da singoli Enti locali ma, appunto, da Unioni e GAL.
Tutte le cittadine di cui si parla in questo Nei luoghi della Sirena, ad eccezione di Aradeo e di Seclì, fanno parte del GAL Serre Salentine, che ha la propria sede legale a Racale. I comuni di Aradeo e Seclì sono soci del GAL Porta a Levante, che gravita nell’area otrantina e ha sede legale a San Cassiano (paese trattato nel volume Là dove Idrusa sorrise. Otranto e il suo entroterra, 2019), ma di tale Gruppo di Azione Locale fanno parte anche i comuni di Collepasso, Neviano Parabita, Sannicola e Tuglie, che pur sono associati al gruppo delle Serre. Alezio, Galatone, Gallipoli hanno anche aderito al GAL Terra d’Arneo che riunisce i Comuni di cui parleremo nel prossimo volume. Ciò a ulteriore dimostrazione della continuità culturale, di storia e d’interessi economici che costituiscono la fittissima rete delle cittadine, dei paesi e dei borghi salentini. Possibile, significativo, volano di sviluppo, elemento sicuramente attrattivo, se si vuole far sì che la vocazione turistica della terra incuneata tra due mari faccia davvero un salto di qualità.
Quindici dei comuni qui trattati fanno parte della Diocesi di Nardò-Gallipoli. Collepasso, territorio di passaggio all’area idruntina, appartiene a quella di Otranto. La diocesi di Gallipoli è molto più antica di quella di Nardò: essa è attestata sin dal VI secolo dell’era cristiana. Quella di Nardò fu istituita invece nel XV secolo. La presunta retrodatazione all’VIII secolo è un falso, come ha chiarito lo storico gallipolino Elio Pindinelli. Le due diocesi si sono unite in persona episcopi nel 1983, tre anni dopo sono diventate a tutti gli effetti un’unica diocesi. Anche l’elemento di appartenere a questa o a quella diocesi mi pare possa servire a ribadire quanto sin qui detto sui criteri che sottendono alla scelta dei centri da inserire nei volumi di questa serie.
Un’altra scelta, come sempre, abbiamo dovuto fare per tracciare l’itinerario da seguire. I paesi sono vicini tra loro: con il tumultuoso sviluppo urbanistico alcuni sono diventati praticamente contigui (Taviano-Racale-Alliste; Casarano-Parabita-Matino: questi ultimi quasi un unico agglomerato). Si stenta un po’ a ritrovare i paesaggi che il De Giorgi descrive, e che però ho voluto ampiamente citare, commentando le tavole di Pascali, per invitare a cercare le tracce di quell’incomparabile bellezza che erano i quotidiani scenari dei nostri nonni e dei nostri padri, per invitare a mantenere intatto ciò che rimane. Il criterio è stato questo: dalla “città bella”, trampolino su un incantato mare, abbiamo fatto un’incursione nell’entroterra, nella vicina Alezio; siamo poi tornati nei territori che, scendendo verso sud, vantano frequentatissime marine. Abbiamo quindi lasciato la costa per rientrare nell’entroterra, a Melissano e, in senso antiorario, siamo risaliti verso nord. Da Tuglie siamo tornati nella vicina Sannicola, il cui territorio si affaccia sullo Ionio, poi, procedendo verso nord-est siamo tornati nell’interno (Neviano, Aradeo, Seclì), per arrivare infine a Galatone, terra che si affaccia sul mare, che confina con i luoghi della Grecìa, oggetto del nostro precedente volume (L’eco di Bisanzio. Galatina e la Grecìa salentina, 2021) e con quelli di Nardò, dei quali nel prossimo ci occuperemo. Cittadina, quella di Nardò, alla quale in passato Galatone era strettamente legata. Un’occhiata alla mappa che precede l’Introduzione chiarirà meglio al lettore, nel caso che non conosca i luoghi, il senso del nostro itinerario. Qualcuno potrà trovare sbagliato questo criterio. Dovesse essere così «credete che non s’è fatto apposta»: volendo concludere, dopo aver citato in questo modesto scritto tanti grandi, con le parole di un grandissimo, del quale è assolutamente inutile ricordare l’opera da cui la frase è tratta.
Oltre a quelli già menzionati, la sezione Per approfondire ospita gli intriganti scritti di Antonio Romano, di Aldo Caputo, di Paolo Vincenti e di Roberta Durante. Romano ci parla delle specificità del dialetto gallipolino, una lingua a tutti gli effetti (ma non si allarmi il lettore non specialista: il saggio del linguista ci regala anche uno spaccato socio-culturale della cittadina, per tutti godibilissimo). Caputo, che di recente ha pubblicato per la Società di Storia Patria-Lecce un libro sull’Inquisizione in Terra d’Otranto in Età moderna, ci racconta di quella di Gallipoli, dove ci sono gli archivi più ricchi di documenti su tale argomento. Vincenti fa un’escursione nei riti della Settimana Santa nella “città bella”, parlandoci di tradizioni popolari che hanno scavalcato i secoli. Durante, in un agevole contributo, traccia un profilo della Gallipoli bizantina, altrettanto affascinante di quella dei secoli successivi. Conclude il volume un’Appendice che ospita un mio racconto, frutto di pura fantasia ma basato su giudizi storici consolidati, dedicato alla figura del casaranese Pietro Tomacelli, che fu a lungo romano pontefice in anni difficili per la Chiesa e per l’intera cristianità.
(2022)
Avvertenza: Nella sezione illustrata non vengono utilizzate note. I riferimenti bibliografici sono inseriti nel testo. Per rendere più agevole la lettura tali riferimenti sono riportati in maniera sommaria: per l’indicazione completa dei testi utilizzati si rimanda alla Bibliografia generale.
[1] R. Bacchelli, «L’Afrodite»: un romanzo d’amore, Milano, Mondadori, 1969. Le frasi virgolettate sono tratte da p. 114.
[2] G. Arditi, Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Lecce, Quotidiano-Enel, Stampe Nuovaemme, 1994, rist. anast. dell’edizione Lecce, Scipione Ammirato Stabilimento Tipografico, 1879-1885, p. 208.
[3] C. De Giorgi, La Provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, 2 voll., Galatina, Congedo Ed., 1975, rist. fotomec. dell’edizione Lecce, Tipografia Spacciante, 1882 e 1888, vol. I, p. 55.
[4] Ivi, p. 63. Il magliese Oronzo Pasquale Macrì che, tra le altre cose, componeva distici elegiaci in latino, scrive nella prima delle sue cinque poesie dedicate a Gallipoli: «Filia pulcra vocor», sono chiamata bella figlia. E si potrebbe a lungo continuare.
[5] Ivi, p. 55.
[6] C. Brandi, Pellegrino di Puglia, Bari, Laterza, 1977, pp. 131-132, passim. La prima edizione di questo straordinario libro è del 1960. Ora anche in ebook, Bompiani-Giunti, 2011 e 2018. Non sfugga il «non so quanto tempo resterà questa pace».
[7] Aa.Vv., Guida agli incantevoli Villaggi, Paesi, Borghi d’Italia, a cura di Paolo Favole, Milano, Edizioni Selezione dal Reader’s Digest, 1988, pp. 395-396.
[8] C. De Giorgi, La Provincia di Lecce, cit., p. 62.